Le autorità russe hanno revocato il visto al corrispondente del Guardian, Luke Harding, che aveva lavorato ai cablogrammi da Mosca divulgati da Wikileaks e aveva definito la Russia di Vladimir Putin “uno stato virtualmente mafioso”. Il giornalista del quotidiano inglese, accreditato in Russia dal 2007, è stato bloccato al controllo passaporti dell’aeroporto di Mosca mentre rientrava dopo due mesi di lavoro a Londra sui messaggi dell’ambasciata Usa nella capitale russa. “Per voi la Russia è chiusa”, Questa l’unica spiegazione fornita ad Harding, come lui stesso ha raccontato dal Servizio federale di frontiera. Il giornalista è stato poi rinchiuso per 45 minuti in una cella e rispedito indietro con il primo volo a disposizione per Londra e solo a bordo gli è stato restituito il passaporto.
Oltre a lavorare sui cablogrammi di Wikileaks, il corrispondente del Guardian aveva riportato di recente scottanti dichiarazioni di un diplomatico Usa sull’omicidio di Aleksandr Litvinenko, l’ex spia russa morta a Londra nel novembre 2006 per aver ingerito una dose mortale di polonio. Secondo l’agenzia russa online Newsru.com, nel dicembre scorso Harding, citando una fonte diplomatica Usa in Europa, aveva scritto che “probabilmente, a suo tempo il primo ministro russo Vladimir Putin era stato informato dell’imminente uccisione di Litvinenko”. La vedova dell’agente del Kgb, Anna Maria Carter, ha accusato le autorità russe di essere i mandanti dell’uccisione del marito, che era un avversario del Cremlino. Il caso ha creato tensioni fra Londra e Mosca.
Un altro sito russo, Grani.ru, ricorda che Harding era da tempo nel mirino delle autorità russe anche per aver intervistato, in Daghestan, il padre di una delle due kamikaze che nel marzo scorso si fecero saltare in aria nella metro di Mosca (40 morti, 130 feriti). Nell’aprile scorso era stato fermato per alcune ore dalle forze di sicurezza in Inguscezia, un’altra turbolenta repubblica caucasica.
Mosca non espelleva un corrispondete britannico dai tempi della Guerra fredda. L’ultimo caso era stato quello del giornalista del Sunday Times, Angus Roxburgh rispedito in patria come rappresaglia per l’espulsione da parte di Londra di 11 presunte spie sovietiche. “La mia espulsione rimane un mistero: sembra che la gente del Cremlino mi tema più di quanto io tema loro”, ha scritto oggi Harding su Twitter. Nel raccontare i clablogrammi segreti della diplomazia Usa, Harding aveva scritto che “la Russia è una cleptocrazia autocrata e corrotta, centrata sulla leadership dell’ex presidente e primo ministro Vladimir Putin, nella quale funzionari, oligarchi e crimine organizzato sono uniti per creare uno ‘Stato praticamente mafioso'”
No comment del presidente dell’Associazione dei giornalisti stranieri a Mosca sull’espulsione di Harding. “Non conosco i motivi dell’espulsione, sto indagando e non posso fare commenti”, ha detto il presidente dell’associazione, il kuwaitiano Adib al Sayyed, da 20 anni corrispondente dell’agenzia Kuna nella capitale russa. Le autorità russe per ora tacciono, mentre una dura condanna è venuta dall’ex dissidente sovietica Liudmilla Alekseyeva, a capo della sede moscovita dell’Ong “Helsinki” che vigila suo rispetto dei diritti dell’uomo: “E’ un fatto spiacevole e allarmante”, ha detto la donna all’Interfax. “E’ stato espulso perchè è una spia? Se è così allora devono dircelo”, ha aggiunto Alekseyeva, secondo cui la mossa è “un duro colpo non solo per la libertà d’espressione, ma anche per l’immagine” della Russia. Il presidente della ‘Fondazione per la difesa della Glasnost’, Aleksiei Simonov, ritiene che l’espulsione sia “legata a motivi politici”, ma che non ci saranno ritorsioni da parte di Londra.
(ER)