Decenni di tele-potere hanno abituato i governanti ad una comunicazione politica unidirezionale ed ad un’informazione manipolabile a colpi di telefonate e “falsi d’autore”.
Il risultato, come insegna l’imbarazzante vicenda della reazione del ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani all’appello per un’agenda digitale italiana, lanciato nei giorni scorsi dai numeri uno dell’industria ICT e da numerosi esperti del settore, è che, ormai, il Palazzo vive come un’indebita ingerenza nei propri affari e come un gesto di “ingratitudine”, un invito pacato a far di più e meglio per l’innovazione del Paese ed avverte l’esigenza di replicare, manipolando, a proprio uso e consumo, l’informazione istituzionale online.

La storia è tanto semplice quanto disarmante.
Un gruppo di cittadini, imprenditori, manager, studiosi e professionisti sottrae volontariamente tempo e risorse al proprio lavoro ed alle proprie famiglie, si autotassa e il 31 gennaio pubblica, sul Corriere della Sera, un appello pacato ma, ad un tempo, accorato, a tutte le istituzioni perché si occupino, in modo concreto, dell’innovazione del Paese, a 360 gradi [n.d.r. diritto d’autore, digitalizzazione della pubblica amministrazione, libertà di manifestazione del pensiero online, incentivi all’innovazione, sviluppo delle infrastrutture di comunicazione, ecc.] ed a prescindere da ogni rivendicazione o interesse.

Per tutta risposta, il 2 febbraio, nel corso di una conferenza alla Camera dei Deputati, il ministro dello Sviluppo economico, per bocca del Capo del dipartimento comunicazioni, dà loro degli “ingrati” e giudica contraddittoria l’iniziativa.

Ma c’è di più.

Nel vano e puerile tentativo di dimostrare l’inutilità dell’appello, infatti, nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione dello stesso sul Corriere della Sera, nella home page del Dipartimento delle Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo economico, viene reso disponibile un comunicato stampa, datato 15 dicembre 2010, intitolato “Piano digitale” e con allegato il file .pdf di una presentazione.
L’obiettivo è evidente: dimostrare che il Governo ha già un’agenda digitale e che, pertanto, l’appello è inutile, sterile e polemico.
Peccato solo che ad andare a guardare tra le proprietà del file pubblicato sul sito del Ministero si scopra che, a dispetto della data del 15 dicembre sbandierata in home page, lo stesso è stato creato solo il 2 febbraio 2011, ovvero dopo la pubblicazione sul Corriere della Sera dell’appello.

La circostanza – già notata in Rete nei giorni scorsi – è stata confermata questa mattina dall’on. Barbareschi nel corso della conferenza di presentazione dell’iniziativa “Diamo all’Italia un’agenda digitale” svoltasi a Roma.
Inutile dire che, all’evento, nessuno degli uomini della maggioranza – benché invitati – ha avvertito l’esigenza di partecipare.

Retrodatare al 15 dicembre un documento – poco importa quanto rilevante – creato solo il due febbraio e pubblicarlo sul sito di un ministero significa, evidentemente, falsificare, distorcere e mistificare la rappresentazione della realtà il che, anche a prescindere dalla dubbia legittimità della condotta, costituisce una chiara violazione di ogni regola etica e deontologica della comunicazione istituzionale.
Grave, anzi, gravissimo, ma non basta.

Nel corso della conferenza alla Camera dei Deputati, infatti, il Capo del Dipartimento delle Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo economico aveva anche manifestato la ferma intenzione del ministro Romani di non voler lasciare lo sviluppo delle reti di nuova generazione “agli ordini delle aziende italiane che ragionano in termini di ritorno degli investimenti e business”.
Parole sacrosante e condivisibili.

Peccato, anche in questo caso, che le proprietà del file pubblicato sul sito del Ministero rivelino che l’autore della presentazione è tal “PileriS.”, al secolo – salvo omonimie che non trovano, tuttavia, conferma nell’organigramma del Dicastero – Stefano Pileri, amministratore delegato di Italtel e, dunque, di una società di comunicazioni.

Collaborazione, condivisione, trasparenza, reputazione e confronto sono alcuni dei valori fondanti di ogni comunità sociale – online come offline – e dovrebbero, a maggior ragione, essere i principi cardine del rapporto tra governanti e governati.

Difficile, tuttavia, rintracciarli in episodi come quello che ha, di recente, avuto per protagonista il ministro dello Sviluppo Economico ed il suo staff.
Pensare, su queste basi, di costruire una politica dell’innovazione seria, moderna ed efficace è davvero utopistico.

La Rete – a differenza della televisione di un tempo – abilita al confronto, al dialogo, alla condivisione di progetti, risorse, competenze ed esperienze ma se nel Palazzo si continua a credere che partecipare al governo della cosa pubblica sia un privilegio di pochi e non un dovere di tutti e che interessarsi al futuro del Paese significhi ledere la Maestà del Sovrano, allora vuol dire che non si è capito nulla delle straordinarie potenzialità delle reti [n.d.r. quelle della conoscenza prima che quelle telematiche] e che si è condannati – e quel che è peggio si rischia di condannare l’Italia – ad inseguire il futuro a bordo di una macchina avapore.

Firmal l’appello

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