L'associazione 21 luglio denuncia: "Soldi buttati in telecamera e vigilanza che si sono trasformate in propaganda. Nel frattempo gli stanziamenti abusivi sono raddoppiati"
Milioni buttati in telecamere e vigilanza armata per fare propaganda. Centinaia di sgomberi a carico del contribuente. E oggi a Roma gli insediamenti abusivi sono il doppio rispetto a due anni fa. Dietro alla tragedia dei quattro bambini rom bruciati nelle baracche di via Appia Nuova c’è il fallimento del piano nomadi del comune di Roma. È la denuncia dell’associazione 21 luglio, che domani scenderà in piazza con decine di altre associazioni per chiedere la sospensione immediata di un piano nomadi “criminale e illegale”.
“Alemanno non avrà un soldo dal Governo”. Ne è convinto Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 luglio che si occupa di diritti dell’infanzia nella capitale. “Il sindaco chiede 30 milioni di euro per sistemare, dice, i rom dei campi abusivi. Ma gli abusivi sono duemila – spiega – non uno di più. Quindi parliamo di quindicimila euro a persona e di ottantamila circa per nucleo familiare. Ad averli – accusa Stassola – ci si compra casa”. Cifre importanti, soprattutto se sommate a quelle già stanziate nel 2009 per il cosiddetto piano nomadi: 34 milioni di euro a carico del Comune e del ministero dell’Interno. Un mare di denaro pubblico che però non sembra aver risolto la situazione.
Presentato il 31 luglio del 2009, il piano firmato da Alemanno prevedeva la confluenza di tutti i rom della capitale in una dozzina di villaggi attrezzati, superando i campi esistenti e la difficile realtà degli insediamenti spontanei. “Ma i villaggi attrezzati non si sono visti – attacca Stasolla – e gli insediamenti abusivi, che nel 2009 erano un’ottantina, sono più che raddoppiati”. I dati sono quelli dell’amministrazione pubblica e raccontano una situazione allarmante. Il villaggio di Salone sulla Roma-L’Aquila, costruito nel 2006 per contenere 550 persone, oggi ne ospita più di mille. “È il risultato degli sgomberi operati dal Comune – spiega ancora il presidente di 21 luglio – oltre 320 dall’inaugurazione del piano nomadi e costati una media di quindicimila euro ciascuno”. Dopo lo sgombero dell’immenso campo del Casilino 900 (618 persone e 273 minori) avvenuto nel febbraio scorso, duecento rom sono stati sistemati nel villaggio di Salone. Per adeguare le strutture si sono spesi due milioni e mezzo di euro, pari a 12.500 euro per ogni nuovo arrivato. Soltanto i nuovi container sono costati un milione e trecento mila euro.
“Gli sgomberi – spiega Stassola – oltre a intasare le strutture esistenti, producono frammentazione. Gli insediamenti spontanei si moltiplicano ed è ancora più difficile lavorare per i diritti delle persone e soprattutto dei bambini, che nei campi come nei cosiddetti villaggi attrezzati – continua – sono totalmente calpestati. Per questo siamo stati i primi a chiedere le dimissioni di Sveva Belviso, assessore di Alemanno ai servizi sociali”.
Ma sprechi ed errori non finiscono qui. Quattro dei 34 milioni del piano sono stati spesi per l’installazione di telecamere per la videosorveglianza e per pagare le guardie armate che presidiano i sette villaggi attrezzati della capitale. “Pura propaganda – attacca Stasolla – utilizzata dall’amministrazione per aumentare la percezione di sicurezza nella cittadinanza. Nel grande villaggio di Salone sono state cambiate tutte le videocamere nonostante quelle esistenti funzionassero alla perfezione. Qualcuno ci ha guadagnato”.
In una Roma ancora sconcertata per la morte dei quattro minori, oggi la Commissione Diritti Umani del Senato ha votato all’unanimità la relazione finale di una lunga indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia. Un lungo lavoro che evidenzia le condizioni “inumane e degradanti” dei campi rom italiani, realtà che, con pochissime eccezioni, non esiste negli altri paesi europei, si legge nella relazione. “È necessario un programma graduale di chiusura dei campi, a partire da quelli più degradati, e di offerta di soluzioni abitative diverse, accettabili e accettate, cioè discusse e confrontate”.