Secondo i dati forniti dall’Istituto, l’industria dell'imballaggio rappresenta l'1,5% del Pil nazionale, con un fatturato di 24 miliardi € per i materiali e di 4 miliardi per i macchinari e una quota di esportazioni molto alta, oltre il 90% per le macchine
Secondo i dati forniti dall’Istituto, l’industria dell’imballaggio rappresenta l’1,5% del PIL nazionale, con un fatturato di 24 miliardi € per i materiali e di 4 miliardi per i macchinari e una quota di esportazioni molto alta (oltre il 90% per le macchine). Il dott. Sachet aggiunge che “il fatturato globale 2009 delle aziende manifatturiere è di 769.000 milioni di euro (fonte: Prometeia), mentre quello dell’imballaggio, comprensivo della parte macchine, è di 30.000 milioni di euro (fonte: Istituto Italiano imballaggio). Da ciò deriva che l’incidenza media del costo del packaging sul prodotto è inferiore al 5%. Ma vale la pena di considerare che senza l’investimento di 30.000 milioni di euro, crea il valore aggiunto che le aziende manifatturiere ottengono, infatti, senza l’imballaggio, molti prodotti non esisterebbero o dovrebbero essere acquistati dove vengono realizzati. Nei paesi dove l’industria del packaging è poco efficiente, solo il 30% dei prodotti agricoli raggiunge il consumatore. Nel nostro Paese il 90% di ciò che viene raccolto viene consumato e solo il 10% va perso. Già solo questi grandi motivi fanno capire perché si insegna packaging in tutti i Paesi sviluppati come e più del nostro”.
Dott. Sachet, dovrebbe essere interesse di chi governa incoraggiare corsi di specializzazione che forniscano una preparazione adeguata ai tecnici per favorire l’occupazione dei neolaureati rispondendo alle esigenze del mercato e garantendo la difesa dell’ambiente.
“Una progettazione di packaging ambientalmente sostenibile deve appoggiarsi su una solida scienza del packaging. Soltanto la conoscenza in numeri delle funzioni del packaging che sono tante e trasversali al mondo della produzione, della distribuzione e del consumo permette di misurare ciò che si decide. La sostenibilità ambientale è una funzione che si aggiunge alle altre e anch’essa ha i suoi numeri. L’Istituto Italiano Imballaggio ritiene che i due saperi non possono essere disgiunti ma anzi che il primo sia indispensabile per concretizzare il secondo. L’imballaggio del futuro dovrà possedere valori condivisi da tutti gli attori che lo gestiscono. Questo permetterà di capirne l’utilità a tutti i livelli e naturalmente comporterà l’eliminazione degli aspetti non condivisibili”.
Il dott. Sachet spiega che in Italia “purtroppo in nessun livello di studio si impara cosa sia questo imballaggio e di conseguenza nessuno lo conosce, spesso nemmeno gli addetti ai lavori.”, ma “l’Istituto Italiano Imballaggio ha promosso (presso l’Università di Parma, ndr) la nascita del corso di Laurea di primo livello per rispondere alla richiesta delle aziende che cercano persone in grado di gestire i loro imballaggi.“Certo non è facile per un ragazzo di 18 anni, che non ha mai sentito parlare di packaging, immaginare che esista uno sbocco lavorativo interessante. – continua il dott. Sachet – Ma c’è. Un buon professionista di packaging dovrebbe possedere la conoscenza dei prodotti da imballare, dei materiali e delle macchine di confezionamento. Dovrebbe misurare le caratteristiche del prodotto da preservare nel tempo e nello spazio. Dovrebbe conoscere il flusso distributivo del prodotto confezionato e la durata della sua vita. Dovrebbe aggiungere al pack i valori percepiti dal consumatore finale e quelli richiesti dall’operatore economico che dovrà valorizzarli quando avranno svolto la loro funzione e diventeranno rifiuti/risorse. Le discipline spaziano dalla chimica alla fisica, dal disegno industriale al marketing e all’ingegneria, dalla tossicologia alla logistica”.