Rivolgendosi agli egiziani“come un padre”, ma soprattutto come il loro presidente, Hosni Mubarak ha annunciato ieri sera che cederà poteri al vice presidente Omar Suleiman, ma ancora non se ne va. E alla piazza non basta. Una folla sterminata di manifestanti in piazza Tahrir ha reagito con rabbia, mostrando le scarpe al cielo, in segno di disprezzo verso il rais, e all’esercito ha urlato: “andiamo al palazzo”.

Il discorso. Col volto tirato, ma con tono deciso, il presidente ha affermato che non accetta “diktat da altri Paesi”, che il sangue dei giovani morti durante i giorni della rivolta non è stato versato invano, e che la transizione andrà avanti “da oggi fino a settembre”. Ma, soprattutto, ha terminato senza annunciare le sue dimissioni. E la collera della piazza è scoppiata in un urlo di delusione. Le aspettative oggi erano alte, dopo che si erano diffuse notizie come: “Il presidente Mubarak accoglierà le richieste” del popolo. Sono in arrivo “buone notizie per piazza Tahrir”. “Il presidente potrebbe dimettersi”. “Il presidente parlerà al Paese questa sera”: in un impressionante crescendo di notizie, dichiarazioni e indiscrezioni, nel pomeriggio sembrava che i giochi fossero fatti.

L’attesa. Sembrava ormai evidente che il potente e autoritario rais, 82 anni, da 30 anni al potere, sotto la spinta della piazza,  stesse infine passando la mano. Dai giornalisti delle grandi Tv americane, e non solo, è poi arrivata a più riprese l’informazione secondo cui il vice presidente Omar Suleiman avrebbe preso dal rais il bastone del Comando. Affermazione sostenuta, seppur con qualche condizionale, anche dal capo della Cia, Leon Panetta. Poi, nel giro di un’ora, è divenuto chiaro che non sarebbe stato così semplice. Che era in corso un vero braccio di ferro. Sono cominciate a girare voci di “golpe militare”.

Il Consiglio superiore delle forze armate, riunito senza il suo capo supremo, ovvero lo stesso Mubarak, aveva diffuso il “Comunicato N.1“: per dire che l’esercito ha adottato “le misure” necessarie “per proteggere la nazione” e per “sostenere le legittime richieste” del popolo. Fonti della tv al Jazeera hanno cominciato ad affermare che l’esercito si è opposto alla diffusione di un discorso in cui il presidente Hosni Mubarak avrebbe dovuto annunciare il trasferimento di tutti i suoi poteri al vicepresidente Suleiman. E ancora, un alto esponente dei Fratelli musulmani ha detto di temere che le forze armate egiziane stessero preparando un colpo di stato. Lo stesso concetto di fatto espresso già ieri proprio da Suleiman, che per due decenni è stato a capo dei servizi segreti, fino a dieci giorni fa, quando è stato chiamato ad assumere la carica di vicepresidente.

La piazza. Sulla piazza Tahrir, nucleo “duro e puro” della protesta ad oltranza, della “rivoluzione del Nilo”, sono però continuati ad affluire centinaia di migliaia di egiziani, incuranti, come sempre, del coprifuoco. Un fiume in piena. Per cantare, per ballare, per pregare e ringraziare Allah, per gridare “vittoria!”, per innalzare un mare di bandiere egiziane. Anche il cyber-attivista Wael Ghonim, il manager di Google divenuto ‘il volto della rivolta”, ha mandato un messaggio via Twitter per affermare: “Rivoluzione 2.0: Missione compiuta”. La svolta sembrava nell’aria. Dopo 17 giorni di presidio dei manifestanti 24 ore su 24 nella piazza Tahrir. Dopo oltre 300 persone uccise in diverse agghiaccianti vampate di violenza.  Dopo che milioni di egiziani si sono assiepati a più riprese, per manifestazioni definite “il giorno della collera”, il “il giorno dei martiri”, la “marcia di un milione”, il “venerdi della partenza”.

Poi, ancora, nonostante le molte concessioni del regime,  nelle ultime 24 ore centinaia di migliaia di lavoratori si sono fermati, in tutto il Paese. Dando vita ad una esplicita disobbedienza civile. A scioperi a catena e a decine di manifestazioni pacifiche, un fenomeno spontaneo. A macchia d’olio. Centinaia, a volte migliaia di persone radunate davanti al loro luogo di lavoro. Al Cairo, ma anche ad Alessandria, Port Said, Suez, Assiut e molti altri centri e villaggi. Lavoratori di ogni categoria. Dagli operai, agli impiegati, di varie amministrazioni pubbliche e private. Dai pompieri agli impiegati dell’Egypt Air, ai medici, gli infermieri, gli avvocati. Una lista infinita.
A loro, Suleiman, che ha parlato dopo Mubarak, ha detto, “Andate a casa, tornate a lavorare, non ascoltate le tv satellitari”.

Il discorso di Barak Obama. Il presidente degli Stati Uniti, parlando alla Northern Michigan University di Marquette, in Michigan, ha detto che il Egitto “si sta facendo la storia”. Gli Usa faranno “tutto ciò che possono” per garantire “una transizione ordinata” verso la “democrazia” e che punti a “libere elezioni”.  Nelle piazze d’Egitto ci sono uomini e donne di tutte le età ma ci sono “soprattutto giovani” che fanno sentire la loro voce. La voce di “una nuova generazione che deve essere ascoltata”.

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