Il momento a suo modo più emozionante del Forum Sociale Mondiale di Dakar è scoppiato attorno alle 16:00 locali di giovedì 10 febbraio, mentre all’assemblea dei popoli del Maghreb interveniva un ragazzo egiziano, arrivato in Senegal frastornato dopo 14 giorni di continua presenza in piazza al Cairo. Nei giorni precedenti l’attenzione era stata allertata da piccoli cortei che percorrevano ogni tanto i viali della città universitaria invocando la fine della dittatura sostenuta per quasi trent’anni dall’Occidente. Ma giovedì pomeriggio un improvviso tamtam multiplo di applausi, grida di gioia, voci concitante entrate nelle aule e nelle tende tra telefonini squillanti ha diffuso tra le migliaia di persone presenti la notizia della caduta di Mubarak. Dopo poche ore, tra la delusione di tutti, la notizia si è rivelata temporaneamente infondata, ma l’evento tanto atteso è fiondato sugli schermi delle Tv il giorno dopo, durante la conclusione del Forum. Ed è stata un’esplosione.
Uno dei meriti maggiori del Forum è stato di aver posto sul tappeto, anche sull’onda degli eventi in Tunisia ed Egitto, l’urgenza di una democratizzazione sostanziale dell’Africa, per superare la corruzione, l’autoritarismo, gli sprechi, il clientelismo, la carenza di servizi e beni di prima necessità, la svendita delle risorse e del territorio, il dissesto ecologico. Ora, in Egitto come già in Tunisia, la transizione verso un pieno sistema democratico è possibile, mentre il deserto politico del mondo arabo è ormai investito da flutti impetuosi. Quanto all’Africa nera, il Forum ha agevolato la ricostruzione di un legame politico tra africani della diaspora e oppositori locali. Qui la lotta per la democrazia assume un contenuto più sociale che direttamente politico, e al momento passa attraverso l’iniziativa delle donne, delle comunità locali, dei giovani senza futuro delle metropoli, più che dall’azione di movimenti e partiti. E anche qui si può sperare. C’è, infatti, un protagonismo delle nuove generazioni africane che possiamo toccare con mano. Se tre livelli – i blocchi storici costituiti dalle popolazioni oppresse; le realtà etniche e culturali che si riconoscono in nazioni con loro istituzioni democratiche; la capacità di mescolare senza contrapposizioni irrimediabili le culture religiose – convergono in una direzione concorde, si può aprire, come avvenuto in America Latina, una rottura con la dipendenza dagli Stati Uniti e la storia coloniale.
Esiste una gioventù libera dal passato ideologico, molto pragmatica, ostile alla corruzione e alla mancanza di democrazia. Per questo usa la rete e il passaparola per riconoscersi, per organizzarsi. Nelle città del Senegal non c’è luogo pubblico rilevante per gli studenti – dalle aule dell’Università alle biblioteche, ai ritrovi e ai bar – che non sia WI-FI. Mi sembra di percepire una fase di svolta, che potrebbe essere repressa, ma che è entrata in un sentimento popolare diffuso e che ha portato qui da tutta l’Africa in carovana centinaia di autobus e camion carichi di donne, giovani e uomini semplicissimi, pur di diversi colori, abiti, religioni e lingue. Forse è per questo che Wade, il presidente autoritario e illiberale del Senegal, ha di fatto boicottato lo svolgimento del Forum Sociale Mondiale. Quando tutta l’organizzazione aveva prenotato le aule dell’università e gli studenti avevano chiesto la sospensione delle lezioni per incontrare i partecipanti al FSM, ha sostituito repentinamente il Rettore con un suo uomo. Questo ha mantenuto il calendario delle lezioni, ha costretto le assemblee a tenersi in tende all’aperto e senza disponibilità di microfoni e traduzioni, provocando e favorendo una disorganizzazione che non si è potuta recuperare nel tempo stretto dell’ultima settimana prima dell’inaugurazione. Evidentemente, un potere corrotto e oscurantista ha provato a impedire che l’occasione del Forum desse adito a proteste e sollevazioni del mondo studentesco locale. Fino a quando? E se non ora quando, anche dalle cento piazze d’Italia?