Oltre 40 giornaliste scrivono una lettera aperta a Gianni Riotta. Nel mirino, il fondo del 13 febbraio dove si mettono sullo stesso piano la manifestazione "se non ora quando?" e l'iniziativa del giorno precedente organizzata da Giuliano Ferrara a Milano: "Editorialino cerchiobottista, qualunquista e soprattutto offensivo"
Tempi duri per Gianni Riotta, direttore del Sole24Ore. Non bastavano i 171 voti di sfiducia nei suoi confronti espressi nella votazione del 4 febbraio. Allora all’ordine del giorno c’era la discussione sul nuovo piano editoriale. Ora oltre 40 giornaliste di punta del quotidiano di Confindustria hanno firmato una lettera aperta “per prendere nettamente le distanze dal fondo del giornale di domenica 13 febbraio che, a cominciare dal titolo “Sciarpe e mutande e in mezzo il niente”, viene definito “cerchiobottista, qualunquista e soprattutto offensivo di quanti/e non solo domenica, ma nella quotidianità della propria vita, difendono non a parole, ma con i fatti, la dignità della persona, del lavoro, della politica e di un’etica della responsabilità divenuta ormai rara”.
Ma cosa ha detto Riotta di tanto grave? Sotto il titolo, appunto, di “Sciarpe e mutande in mezzo il niente”, il direttore ha scritto il suo consueto “editorialino” mettendo sullo stesso piano la manifestazione di sabato 12 febbraio organizzata da Giuliano Ferrara al Teatro Dal Verme – “In mutande, ma vivi” – e quella di domenica “Se non ora quando?” che ha visto un milione di persone, soprattutto donne, scendere nelle piazze di tutta Italia, ma anche estere, contro lo svilimento dell’immagine femminile. Scrive Riotta: “Sembra che l’Italia abbia voglia di dare un corpo alla politica. Nel senso di scendere in piazza e “prendere parte”. E anche, mutuando la logica da stadio che da sempre confina con la politica, di vestirla (o svestirla) di una maglia, di un indumento, di un pezzo di stoffa che connoti appartenenza e identità”. Ed ecco l’accostamento tra le due proteste: “Si tratti delle mutande appese ieri al teatro Dal Verme di Milano, nell’adunanza organizzata da Giuliano Ferrara. O del “popolo viola” – e qui va bene una maglietta, un cappotto, perfino una bandana – che sempre ieri ha urlato da Roma a Milano contro il premier. O della sciarpa bianca con cui oggi scenderanno in strada le donne offese dal caso Ruby”.
La passione – dice Riotta – va bene, “a patto che sotto il vestito non ci sia il niente“. Insomma, tanto rumore per nulla sembra affermare il direttore del Sole che sospetta “che dietro tanta stoffa brandita a mo’ di bandiera le idee siano poche, gli slogan un po’ vuoti e tutto si giochi sulla risacca lenta di un gioco delle parti già assegnate da tempo”. Per Riotta, ci sarebbero due schieramenti contrapposti “di qua le mutande di chi difende il premier, di là le sciarpe di chi lo attacca”. Manca, secondo il direttore, “il pensiero forte degli anni ’70”: “Altro che gli eskimo – termina il fondo -. L’impressione è che dietro i cortei – ripetiamo: ben vengano purché pacifici – ci sia una tensione di risulta, e non di scatto in avanti. Una guerra di trincea che non sposta gli equilibri, non innova, non dice una parola nuova. Se non fiori nei vostri cannoni, almeno mettete idee tra sciarpe e mutande”. In definitiva quindi, un referendum pro o contro Berlusconi e nulla più.
“L’accostamento tra la manifestazione delle donne e l’iniziativa di Ferrara suona stonato per due motivi – spiega una delle firmatarie che però ci chiede l’anonimato -. Innanzitutto dal punto di vista della correttezza giornalistica. Come poteva Riotta esprimere un punto di vista informato sui fatti visto che ha scritto l”editorialino’ prima ancora che si svolgesse la manifestazione delle donne? E’ chiaro che abbia sottovalutato la portata dell’evento”. “Per noi – si legge nella lettera aperta – che di mestiere facciamo i giornalisti e in questo mestiere continuiamo a credere, c’è infatti una regola fondamentale e inderogabile, che è quella di commentare i fatti solo dopo esserne stati testimoni, diretti o indiretti, non prima che i fatti siano accaduti, com’è successo in questo caso”. Inoltre, precisa la giornalista, “non si può sempre dare un colpo al cerchio e uno alla botte, mettendo sullo stesso piano due avvenimenti del tutto diversi. Ci sono momenti, e questo è uno di quelli, in cui bisogna prendere posizione perché ci sono in gioco valori troppo importanti per stare in silenzio a guardare”.
L’idea della lettera al direttore nasce come “moto spontaneo d’indignazione” di donne che si sentono offese “da chi si permette di dubitare persino che esista un’idea o un pensiero forte dietro la rivendicazione del rispetto e della dignità della persona e non ha altri argomenti da offrire se non gli stereotipi del “sotto il vestito niente”, del “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, dell’eskimo degli anni ’70”. Scritta rapidamente, la missiva viene inviata a Riotta nella sua prima versionealle 11.45 di ieri: “Avevamo fretta – spiegano – di far sapere al direttore che non eravamo d’accordo con quanto aveva scritto. Le adesioni sono arrivate una dietro l’altra fino alle attuali circa 40 firme, un grande risultato se pensiamo alla ristrettezza dei tempi”. Si tratta della maggior parte delle donne che formano il corpo centrale del giornale. Chiedono che la lettera sia pubblicata sul numero di domani perché ritengono “che la giornata di ieri non sia stata una mera esibizione narcisistica, che gli slogan non sono – come si legge nel fondo – “un po’ vuoti” e che non è vero che dietro i cortei ci sia solo “una guerra di trincea”. Soprattutto, le firmatarie, ci tengono a sottolineare che “non si tratta di essere pro o contro Ferrara, pro o contro le donne che scendono in piazza, ma di abbandonare pregiudizi, stereotipi, qualunquismi, per prendere una posizione. Trasparente, laica”.
La lettera dovrebbe essere pubblicata sull’edizione di domani. “Ci aspettiamo un’ammissione di responsabilità da parte del direttore”. Come abbiamo scritto a conclusione della lettera “un giornale che ha la pretesa di essere leader proprio sul fronte delle idee non dovrebbe rinunciarne ad averne una, precisa e riconoscibile, in un momento così difficile per il paese”. Impossibile “pensare di continuare a irridere la piazza (altro stereotipo) e i simboli che la rappresentano, piuttosto che ascoltare la voce di chi vi partecipa. Le migliaia di persone presenti in piazza domenica hanno da dire molto di più di quanto spesso si legge in intere pagine di giornale, e non meritano di essere etichettate a priori come ‘il niente'”.
Il Cdr del Sole24 Ore