La grandepiazza di ieri, promossa dalle donne in modo del tutto autonomo dai partiti, a Roma come a Torino, Palermo, Bari, Napoli, Bologna, dice alcune cose chiaramente:
Che le donne non sono affatto mute, o assenti dalla scena sociale del paese. Non assistono indifferenti, senza parole e azioni, al degrado morale e civile. Le donne ci sono e sono un motore fondamentale del cambiamento, ora come ieri, ora per domani. In questi anni di berlusconismo, mentre gli spazi tradizionali della politica si svuotavano di autorevolezza e spesso di senso, diventando giocattolo del potere e delle ambizioni maschili, le donne hanno lottato, mantenuto e alimentato uno spazio pubblico “altro”, uno spazio di trasformazione: nel privato, nel sociale, nel lavoro, nella scuola, nell’associazionismo e nel volontariato, nelle professioni e nel sindacato, nel mondo della cultura. Non si improvvisa un fiume come quello di ieri. Le manifestazioni rappresentano il punto di arrivo e di ripartenza di questa crescente forza femminile. Altro che silenzio!
Alla perdita di autorevolezza del maschile, nella sue forme di rappresentazione politica e culturale, si contrappone una crescita di autorevolezza femminile, forse inedita. Le donne sono considerate da tutte le statistiche italiane le più preparate culturalmente, le più credibili alla sfida delle classi dirigenti. Al contempo sono le più colpite dalla crisi economica, dalla precarietà, da un welfare a macchia di leopardo. Ancora troppo lontane dai ruoli di dirigenza e da un sistema che premia il merito.
La retorica moralista contro escort e prostitute è stata marginale. Ha prevalso il sentimento unitario di rottura con una cultura misogina e di mercificazione che attraversa la società italiana. Ha prevalso la critica ad un sistema di potere che usa il corpo delle donne anche attraverso il messaggio televisivo. Ha prevalso il senso di nausea per un degrado culturale e politico a cui non è sensibile solo l’opposizione (per altro poco incisiva), ma che comincia a fare breccia anche nel blocco sociale di destra.
La dignità delle donne non è mai stata in discussione. La dignità delle donne italiane non è mai stata scalfita dai maschi che vanno a puttane. E certo non ce la prendiamo con le seconde che sono il prodotto dell’immaginario e del potere maschile sulle donne. Piuttosto è in ballo la dignità di un Paese che ha smarrito valori, sentimenti persino, e una visione del proprio futuro. La piazza di ieri, multipla, trasversale, ricca di sfumature e slogan differenti ha saputo con ironia e forza, trasmettere un messaggio di cambiamento per tutto il paese, senza rimuovere le grandi questioni sociali, in primis quello della precarietà. Come nessuna forza di opposizione aveva finora saputo fare, si è scesi in strada e un milione di persone ha presentato il conto al despota Berlusconi.
L’autonomia delle manifestazioni da sigle, partiti, organizzazioni politiche, con la richiesta di non esporre simboli, bandiere o striscioni, è una novità importante e preziosa. Credo che ciò dipenda dalla grande sfiducia che le donne ripongono oggi nella politica istituzionale. E dal timore di una strumentalizzazione che avrebbe certo ridotto le potenzialità di questa mobilitazione. Ora la sfida sarà mantenere questo livello di autonomia, non cedendo alle lusinghe dei partiti, che devono rimettere in discussione molto delle proprie pratiche maschili.
Ma il punto più importante a mio avviso è il ritorno sulla scena sociale e politica di un nuovo “femminismo di femminismi”. Ovvero di pratiche, esperienze, culture in grado di ricomporre in termini fortemente simbolici e politici, il tema della libertà femminile dentro l’orizzonte di una sfida a questo millennio. I femminismi non sono morti. Ma non sono nemmeno un revival del secolo scorso, come si è visto, in nome di linguaggi e corpi sociali del tutto nuovi, nel tempo di una precarizzazione esistenziale senza fine. Le ragioni di questi femminismi sono quanto di più vero, attuale e urgente si ponga oggi all’attenzione di un processo di trasformazione globale. Se guardiamo la scena mondiale, i femminismi del nostro tempo rappresentano, dall’America Latina, all’Africa, al Medio Oriente, un motore straordinario di giustizia sociale, di pace, di cambiamento del modello di sviluppo. Ma occorre dirlo: fuori dalle pratiche “dal basso”, e dalle comunità reali, questo femminismo è anche tanto scomodo. In casa nostra, per la politica e per i partiti è motivo di orticaria. Le regole maschili di autoriproduzione del potere e delle lobby mal digeriscono l’autonomia delle donne.
Le donne che fanno politica oggi sono scelte dagli uomini. Per questo adesso bisognerà essere ferme nel dire che cosa si vuole, quale politica, quale progetto. Il crollo del berlusconismo, dentro alla pesante crisi economica che attraversa il paese, potrà portarci alla ricostruzione di un sistema che riscriva un nuovo patto sociale fra donne e uomini, come fra migranti e native, partendo dal riconoscimento delle disuguaglianze (oltre il reddito)? E fra generazioni di donne (tema fra l’altro su cui permane un limite di comunicazione)? Non è forse il terreno dell’autodeterminazione a riproporsi, non solo per evitare che conquiste importanti vengano cancellate, ma per estendere quei diritti di cittadinanza e di civiltà che oggi sono preclusi ad altre donne, lesbiche e migranti ad esempio? O in tema di fecondazione assistita? La legge 40 è lì ad aspettarci con tutto il suo dispositivo di odio verso le donne.
Ha ragione Giulia Bongiorno, quando dal palco di Piazza del Popolo dice che fanno paura le donne (e gli uomini) che ieri erano in piazza. Fanno paura, se questa mobilitazione continuerà. Non è solo perchè l’immagine del potere berlusconiano nel mondo e nel paese, ieri ha subito un durissimo colpo. Quei volti e quelle voci di ieri parlano di un risveglio civile, e forse di un auspicabile straripamento di partecipazione, dopo anni di vuoto politico, in grado di mettere in discussione le regole e le mediazioni politiche di palazzo.
Insomma, per cacciare Berlusconi il gioco non può essere sempre lo stesso, e una volta che Berlusconi lascerà, la politica, la sinistra, non potranno essere uguali a se stesse. Quanto si sono allontanate dalle donne? Tantissimo. Sono in grado di ripensarsi? Ecco la domanda piantata ieri: né coccodè né co.co.pro., diceva un cartello. Una domanda di cambiamento reale, che nel galleggiamento italico può far paura, a tutti.