“Il vento della democrazia sta soffiando sui paesi arabi che Bush non ha invaso”. E’ come vivere “il crollo del comunismo del 1989” perché “Mubarak e Khamenei hanno lo stesso destino”. I messaggi su Twitter a seguito delle manifestazioni scoppiate in Iran ieri (giorno chiamato “25 Bahman” nel calendario locale, ndr) evidenziano l’effetto domino contro i regimi oppressori che, dopo aver travolto Tunisia ed Egitto, si sta espandendo oltre i confini del Maghreb. La rete si mostra così come il mezzo dove corrono le notizie. E se nel 2009, a seguito delle presidenziali che hanno riconfermato Ahmadinejad, Internet aveva subito incessanti attacchi da parte dal governo, oggi invece, Iran News, spiega che nonostante i possibili blackout, il regime non potrà fermare il flusso di informazioni.
Nei giorni scorsi Ahmadinejad, esaltando lo spirito ribelle dei cittadini egiziani, aveva intimato agli ebrei del Medio Oriente di ritornare in Israele prima di essere travolti, ma questi potrebbero essere i suoi ultimi giorni alla guida del Paese. Uno scenario che emerge da alcuni elementi di cronaca: il capo della polizia Ahmad Reza Radan ha accusato i Mujaheddin di aver ucciso un manifestante e il segretario di Stato Hillary Clinton, come anticipato dal New York Times, annuncerà una nuova strategia d’interventi dell’amministrazione americana a favore della ‘Internet Freedom’. Si tratta di un programma di finanziamenti allo scopo di abbattere ogni barriera che tante dittature impongono alla rete nel proprio Paese. Insomma, dopo la rivolta egiziana, gli Stati Uniti ‘arruolano’ il web come strumento fondamentale per difendere chi protesta nel mondo a favore della democrazia e della libertà.
E’ arrivato così il momento delle proteste in Bahrain, Yemen e in Iran, dove si stanno verificando gli scontri più aspri. Nelle stesse strade di Teheran dove il governo aveva festeggiato la caduta di Mubarak, ora i Mujaheddin del Popolo devono fronteggiare la loro gente.
Su Twitter Neda”s voice chiede ai leader dell”opposizione iraniana in che modo intendano salvare i 1500 manifestanti arrestati e già trasferiti nel carcere delle torture di Evin (lo stesso dove è ancora detenuta Sakineh, la donna incarcerata per adulterio e divenuta simbolo della repressione del regime) e conferma il decesso del ragazzo ferito negli scontri di lunedì, le cui generalità non sono state ancora rese note. I morti salgono così a due. Ma il governo non apre a nessuna richiesta di cambiamento. Come riporta il sito Green Voice of Freedom i leader riformisti Mousavi e Kharoubi sono agli arresti domiciliari. Ai due sono state tagliate le linee telefoniche, mentre si alterna lo spegnimento di Internet e dei cellulari. Su Facebook il blogger iraniano Saeed Valadbaygi continua a descrivere l’avanzare delle proteste con video e post. Intanto sul social media di Zuckerberg sorgono centinaia di pagine a sostegno dell”Iran libero’.
Nonostante gli sforzi dei manifestanti, il governo si dimostra ancora saldo nella sua intenzione di reprimere qualsiasi tentativo di ribellione e 50 deputati conservatori del regime hanno invocato la pena di morte per Mousavi e Kharoubi. Già nel 2009, durante i moti dell”Onda verde, il regime era stato severo e capillare nella vendetta contro i dissidenti e anche ora dimostra di non essere cambiato. Ma l’Iran, come è stato prima per Tunisia ed Egitto, non si arrende.
Per seguire le evoluzioni è possibile consultare la mappa aggiornata dei tweet dal mondo arabo o cliccare sugli hashtag di Twitter per i rispettivi paesi da @EyesOnAlgeria a @yemenwatch passando per @EnoughGaddafi per la Libia e @FreedomPrayers in Bahrain. L”Onda del 2011 non è soltanto verde.