“Il regolamento in discussione alla commissione di vigilanza ricorda l’Unione sovietica dei tempi di Breznev…“, parole del presidente della Rai Paolo Garimberti.
Del resto si tratta di una frase proverbiale che si usa spesso quando si deve indicare una situazione di compressione democratica, di riduzione dei diritti costituzionali e di libertà. In genere si fa riferimento alla Russia di Breznev, oppure si chiamano in causa i paesi latino americani.
Questi ultimi peraltro, tranne forse il Venezuela, Cuba e la Colombia, ci precedono tutti nelle graduatorie internazionali che misurano la libertà dei media.
Comprendiamo lo spirito della dichiarazione di Garimberti, ma vorremmo proporgli una variazione sul tema. In quale paese il presidente del Consiglio è anche proprietario di un impero mediatico?
Chi ha compilato le liste di proscrizione per chiedere la cacciata di Biagi, Santoro, Travaglio, Luttazzi?
In quale nazione il presidente può chiamare da casa e interrompere le trasmissioni del servizio pubblico?
Chi può consentirsi di spedire delle videocassette e di imporne la trasmissione integrale?
In quale nazione il proprietario di un gruppo privato può introdurre norme per azzoppare i concorrenti?
L’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito, e non abbiamo neppure citato la legge bavaglio e il regolamento manette, e tante altre nefandezze.
Da qui la proposta di cambiare l’espressione gergale, oppure di completarla con queste parole: “Un regolamento degno della Russia di Breznev, che poteva essere concepito solo nell’Italia di Berlusconi…”
Ironie a parte ci auguriamo che tutte le autorità di garanzia, non solo vogliano condividere l’allarme lanciato anche da Garimberti, per altro con un certo ritardo, ma si predispongano anche a gesti clamorosi, qualora Berlusconi dovesse dare ordine ai suoi di provare davvero a imbavagliare e ad oscurare le trasmissioni che non piacciono al capo supremo.
Non vi è dubbio alcuno, infatti, che il grande molestatore, pur di non dimettersi, tenterà di cancellare i fatti che non gli piacciono e di oscurare la pubblica opinione affinchè nulla veda e nulla sappia.
Come hanno detto i rappresentati dei giornalisti, riuniti davanti alla sede della vigilanza, se e quando questo bavaglio dovesse essere approvato non resterà che buttarlo in un cestino, rifiutarsi di obbedire all’ordine ingiusto, attenersi solo all’articolo 21 della costituzione, alla legge professionale e ai contratti di lavoro.
Non saranno dei disobbedienti, ma solo degli obbedienti alla legalità repubblicana e costituzionale, anche per questo il prossimo 12 marzo a Roma e in tante altre città italiane ci ritroveremo dietro il Tricolore e con la Costituzione in mano.