I rischi erano noti da tempo. Solo che adesso anche la paura ha assunto una certa ufficialità. Lo ha ammesso anche la Securities and Exchange Commission (Sec) statunitense, impegnata da oltre un anno nel tentativo di scomporre e analizzare nel dettaglio il pericoloso mercato dei bond municipali (Muni-bonds), gli strumenti privilegiati con cui gli enti locali Usa finanziano le proprie spese e, soprattutto, i loro debiti. Un mercato di enorme portata, stimato in quasi 3 mila miliardi di dollari di controvalore. Che con tutte le sue insidie ha saputo trasformarsi, ormai, in una “top priority”, per usare le stesse parole pronunciate ieri dalla commissione di controllo statunitense sugli scambi finanziari.
«Ci sono Stati ed enti locali che sperimentano situazioni di difficoltà finanziaria ma non rendono pubbliche le informazioni in proposito nei loro documenti ufficiali – ha affermato Elaine Greenberg, capo divisione della Sec per il settore Muni-bonds in un intervento ripreso dal Financial Times – . E’ questa la vera causa delle nostre perplessità». La Greenberg non ha voluto rispondere a chi le chiedeva di confermare l’effettiva esistenza di inchieste ufficiali ma in fondo la sua replica sarebbe stata superflua. E’ certo, a oggi, che le amministrazioni statali di Illinois e Rhode Island, oltre a quella della città di Harrisburg, in Pennsylvania, sono già state contattate dalla Sec. Almeno trenta agenti della Commissione di controllo, ricorda il Ft, sarebbero tuttora dislocati in lungo e in largo negli Stati Uniti per coprire il sempre più problematico mercato dei bond degli enti pubblici.
I guai della finanza locale statunitense sono noti da tempo. Già l’estate scorsa il Center on Budget and Policy Priorities, uno dei più autorevoli centri di ricerca di Washington, rivelò che 46 Stati americani su 50 presentavano bilanci in rosso. Le perdite complessive, allora, furono valutate in 112 miliardi di dollari. Negli ultimi mesi le cattive notizie hanno avuto una discreta presa sul pubblico alimentando una certa ritirata strategica dal mercato. Un riflusso che ha interessato i cosiddetti mutual funds, clienti storici delle obbligazioni statali e comunali, dai quali sono stati ritirati circa 25 miliardi di dollari di investimenti. A ridimensionare l’esposizione sono stati principalmente i clienti retail, ovvero i piccoli risparmiatori, che da soli compensano circa i due terzi dell’intera domanda di mercato.
Sepolti da una valanga di debiti, gli Stati hanno visto aumentare le proprie probabilità default evidenziando i guai peggiori in California e Illinois, da tempo ai margini della Top Ten nella classifica mondiale del rischio bancarotta sovrana. Ma il rischio, è bene ricordarlo, è solo “tecnico” visto che a termini di legge nessuno Stato dell’unione può presentare una sorta di istanza di fallimento come fosse, per intenderci, un’Argentina qualsiasi. Il governo degli Stati Uniti, vale a dire, è tenuto quindi a garantire le obbligazioni offrendo una protezione senza eguali nel mercato del credito. E siccome le difficoltà di collocamento presso i privati cittadini restano significative e lo stato dei conti va peggiorando, ecco che le obbligazioni finiscono per offrire elevati rendimenti a rischi relativamente bassi (a differenza degli Stati le altre municipalità possono fallire legalmente ma l’istanza di bancarotta è piuttosto rara). In pratica l’affare del momento. Vuoi che qualcuno non lo fiutasse?
L’olfatto, diciamo così, ha destato improvvisamente i fondi speculativi, veri e propri nuovi protagonisti di questo mercato. Nelle ultime settimane, riferisce la Cnbc, grandi operatori hedge di New York come Moore Capital Management e Oak Hill Advisors hanno investito rispettivamente 15 e 13 miliardi di dollari a testa nei titoli statali garantendosi rendimenti netti del 10%. L’ingresso in campo degli speculatori segna un passo decisivo in direzione della crescita del rischio. Certo, una spinta alla domanda potrebbe provocare in teoria una riduzione degli interessi (ma non necessariamente, come dimostra ad ogni asta il “successo” delle obbligazioni greche) ma le spinte speculative restano forti. A ciò, come se non bastasse, si aggiunge la crescita delle scommesse sulla bancarotta statale evidenziata dalla crescita dei Cds – Credit Default swaps (i derivati assicurativi il cui valore cresce di pari passo con le probabilità di fallimento del titolo che essi stessi coprono) sui bond statali. Gli ultimi dati disponibili parlano di un ammontare complessivo per 50 miliardi di dollari. In relazione al valore totale delle obbligazioni è una quota ancora ridotta. Ma le prospettive di crescita, al tempo stesso, sono comunque notevoli.