Il presidente del Consiglio dei ministri, Tycoon indiscusso dell’industria radiotelevisiva italiana, assume – e conserva per oltre 150 giorni – l’incarico, ad interim, di ministro dello Sviluppo economico, dicastero nella cui sfera di competenza, rientra anche la materia delle comunicazioni e, dunque, la gestione dell’universo radiotelevisivo ma, secondo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è tutto regolare e non c’è alcun conflitto di interessi.
“La circostanza che alcune imprese di proprietà del presidente del Consiglio operassero in settori interessati dalle attribuzioni istituzionali del ministero dello Sviluppo economico, non ha potuto di per sé costituire una condizione sufficiente per avviare un procedimento ai sensi dell’art. 6, della legge sul conflitto di interessi. A tale fine, si sarebbe dovuto, in concreto, individuare un atto (o omissione) posto in essere dall’on. Berlusconi che fosse suscettibile di incidere sul settore radiotelevisivo in cui operano le società delle quali il medesimo titolare di carica è proprietario.”
E’ questo uno dei passaggi più sconfortanti della relazione sul conflitto d’interesse relativa al semestre luglio-dicembre 2010, inviata lo scorso 14 febbraio, dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato.
Negli interminabili 150 giorni durante i quali il premier ha diretto anche il ministero dello Sviluppo economico, infatti, “all’interno del ministero dello Sviluppo economico la competenza a decidere sulle materie afferenti al settore delle comunicazioni, potenzialmente connesso alle imprese riferibili all’onorevole Berlusconi” secondo l’Autorità, sarebbe stata attribuita al Dipartimento per le Comunicazioni, diretto dal sottosegretario, Paolo Romani, ex manager dell’impero radiotelevisivo.
Impossibile, in effetti, in tali condizioni, parlare di conflitto di interessi.
Il 6 agosto 2010, in piena estate ma, soprattutto, nel bel mezzo dell’interim del presidente del Consiglio alla guida del ministero dello Sviluppo economico, il ministro dello Sviluppo economico, alias, appunto, Silvio Berlusconi, assegna alla RTI SpA – ovvero ad una società di sua proprietà – l’utilizzo provvisorio del canale 58, affinché lo utilizzasse sino alla data di pubblicazione del bando di gara per l’assegnazione delle frequenze destinate al dividendo digitale.
Un bel vantaggio per le imprese del biscione ed un grande svantaggio per i concorrenti ma, anche in questo caso, secondo l’Autorità Garante, va tutto bene.
Scrivono, infatti, gli uffici dell’Autorità nella relazione “L’Autorità, avendo verificato che tale autorizzazione era stata rilasciata, su richiesta di Elettronica Industriale Spa [n.d.r. controllante di RTI], dalla ‘Direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica e radiodiffusione’ del Dipartimento comunicazioni, a seguito di parere positivo espresso dalla Direzione generale Pianificazione e gestione dello spettro radioelettrico dello stesso Dipartimento, ne riconosceva la piena natura amministrativa, non ritenendo l’atto in alcun modo riferibile al vertice politico”.
Come dire giacché non è stato Berlusconi ad auto-assegnarsi le frequenze in questione ma se le è fatte assegnare dai dirigenti del ministero del quale era responsabile ad interim, deve escludersi l’ipotesi del conflitto di interessi.
Probabilmente sarebbe abbastanza per convincersi, una volta di più, che la legge sul conflitto di interessi non funziona e che la rete anti-conflitto da essa costruita ha maglie tanto larghe da farci passare attraverso persino i più macroscopici episodi di conflitto d’interessi della storia del Paese.
Ma non basta.
Nella propria relazione, infatti, l’Autorità è costretta a dar atto anche di una segnalazione ricevuta a seguito della pubblicazione su Wikileaks di alcune preoccupanti dichiarazioni dell’ambasciatore americano in Italia a proposito del c.d. decreto Romani, il provvedimento attraverso il quale il Governo ha, tra l’altro, gettato le basi per trasformare Internet in una grande Tv a tutto vantaggio, naturalmente, dei Signori del tele-comando.
Anche in questo caso, tuttavia, l’Autorità non ha dubbi.
Nessun conflitto d’interessi da segnalare.
“Nel caso di specie – scrivono gli uffici dell’Autorità Garante – è stata rilevata l’assenza del presidente del Consiglio in carica dall’iter formativo del suddetto decreto, il quale è stato deliberato soltanto con il contributo di quei ministri a cui la legge riserva specifiche competenze in materia (ossia, il ministro per le politiche europee e quello dello sviluppo economico, di concerto con i ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze).”
E’ la solita storia: è sufficiente che il presidente del Consiglio dopo aver indirizzato il proprio Governo all’adozione del provvedimento desiderato, al momento del voto, esca a prendere un caffè per evitare ogni conflitto d’interessi.
Il nostro Paese è, sfortunatamente, additato in tutto il mondo come uno dei più eclatanti esempi di commistione tra potere economico, mediatico e politico e come un caso di scuola di “conflitto di interessi” perenne ma, l’Autorità Garante cui la legge affida la vigilanza sulla materia, sistematicamente, esclude la sussistenza di qualsivoglia conflitto d’interessi.
Delle due l’una, o la legge sul conflitto di interessi non funziona e va sostituita con urgenza o, invece, l’Autorità non la sa applicare e, allora, occorre rivederne le dinamiche di funzionamento.