Tiro alla fune davanti a Montecitorio tra speculatori e società civile per la tassa sulle speculazioni finanziarie che piace alla Merkel e a Sarkozy. E che Berlusconi giudica "ridicola"
“Chiediamo ai leader europei di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie, capace di moderare gli eccessi delle speculazioni e di generare un gettito rilevante da utilizzare per finanziare le politiche sociali, il welfare, la cooperazione internazionale e la tutela dell’ambiente”, ha dichiarato Andrea Baranes, portavoce della campagna, alla quale aderiscono una quarantina di associazioni, dalla Cisl a Banca Etica, da Cgil a Legambiente, Crbm, Oxfam e Azione Cattolica.
L’idea non è nuova. E’ una rivisitazione delle ipotesi avanzate molti decenni fa da John Maynard Keynes e, successivamente, da James Tobin: applicare un’imposta molto contenuta (non più dello 0,1%) su ogni compravendita di azioni, obbligazioni, strumenti derivati e operazioni di cambio della valuta con l’obiettivo di frenare la speculazione e di ridistribuire il ricavato tra le casse pubbliche e i progetti di sviluppo. Un’aliquota che, di fatto, avrebbe impatti trascurabili sugli investimenti di lungo periodo penalizzando, al contrario, gli speculatori, costretti a versare un contributo su ciascuna delle migliaia di operazioni condotte in rapida successione. I ricavi, ovviamente, sarebbero enormi. Tre anni fa il Center for Economic and Policy Research di Londra (Cepr) stimò che un’aliquota dello 0,1% avrebbe generato un gettito fiscale annuale di oltre 630 miliardi di dollari nei soli mercati di Ue e Nord America. Secondo le ultime stime dell’economista austriaco Stephan Schulmeister, uno dei massimi esperti in materia di FTT, un’imposta dello 0,05% (quella che propone la Campagna 005) applicata nella sola Europa permetterebbe di raccogliere ogni anno circa 350 miliardi di dollari.
Proprio quest’ultima ipotesi solletica da tempo la fantasia di Angela Merkel, principale sponsor europeo del progetto. Un paio di settimane fa è girata voce che il cancelliere stesse pensando addirittura di introdurre l’imposta in un’area ristretta – Germania, Francia e Austria – in attesa di un accordo che coinvolgesse l’intera Eurolandia. Il ministero delle finanze tedesco ha successivamente smentito, ma il fatto stesso che si fosse prodotto un simile rumor evidenzia il permanere di un clima favorevole lungo l’asse Berlino-Parigi. Da tempo infatti, il presidente francese Nicholas Sarkozy ha scelto di schierarsi accanto alla collega tedesca aprendo così un fronte possibilista nel Continente.
L’aspetto, ovviamente, non può essere trascurato visto che Francia e Germania hanno da tempo assunto la guida della politica economica europea. Una politica che ha come priorità la risoluzione della devastante crisi debitoria che dalle periferie rischia ora di allargarsi pericolosamente (Belgio docet). Da qui l’ipotesi di introdurre la tassazione per risanare i conti pubblici, con una mossa che consentirebbe di attuare un’operazione decisamente meno impopolare di qualsiasi piano ristrutturazione contabile basato sulle classiche manovre fiscali. Un’alternativa da considerare al più presto soprattutto alla luce delle emergenze nazionali. In Italia, non è un mistero, lo spettro di un’imposta patrimoniale da scaricare sui contribuenti non è ancora stato scacciato. Berlusconi ha escluso categoricamente l’eventualità (come già fatto, del resto, con la tassa sulle transazioni finanziarie, definita a suo tempo “ridicola”) e l’opposizione (Veltroni a parte) segue a ruota. Eppure, nonostante il generale rifiuto, se ne continua a parlare lasciando implicitamente aperta la possibilità di un Armageddon fiscale da lacrime e sangue. Il debito italiano vale ormai il 120% del Pil e le prospettive di crescita economica restano inferiori alla media europea.
Le possibilità di un’applicazione della FTT restano confinate alla sola Europa. Il G20, è noto, non raggiungerà mai una posizione comune stante il contrasto tra l’orientamento franco-tedesco e il categorico rifiuto degli altri Paesi. In Europa, è vero, si teme che l’introduzione della tassa nel continente possa indurre a un’emigrazione di massa degli investitori, attratti da un ambiente fiscale più favorevole al di là dell’Atlantico (o anche solo della Manica). Ma una soluzione, in questo senso, è già stata pensata. Di fatto, spiegano i sostenitori della FTT, basterebbe applicare il cosiddetto “approccio decentralizzato”, vale a dire quel sistema fiscale che consente di tassare le transazioni alla fonte, ovvero su chi compie l’operazione, a prescindere dal luogo in cui viene materialmente effettuato l’ordine della transazione. Tradotto: se l’imposta fosse applicata nell’area euro, tutti gli operatori domiciliati nella tax zone sarebbero legalmente debitori della FTT a prescindere dal mercato in cui realizzano lo scambio. Spostare le operazioni speculative da Francoforte a Wall Street, in altre parole, sarebbe perfettamente inutile e la tassa non potrebbe mai essere evasa.
di Matteo Cavallito e Mauro Meggiolaro