Guardando Sanremo non ho potuto fare a meno di poter scrivere e dedicare qualche parola a quello che in questo periodo appare più come il festival della Propaganda, non tanto per quello che accade sul palco, ma per lo schieramento della prima fila: ministri, pseudo-giornalisti, lacchè, maggiordomi e servitù di passaggio. E’ la scena dell’orchestra del Titanic che continua il suo lavoro mentre la nave affonda. Lo spettacolo deve continuare e bisogna festeggiare i 150 anni.
Non avevamo dubbi che nella ammiraglia della Rai ci fossero riposte le ultime speranze di difesa ad oltranza del sultano, l’ultimo dei sultani in un Mediterraneo in fiamme. Mentre da Algeri a Bengasi al Cairo, il popolo si ribella per inseguire il sogno della libertà e di notte i canti di protesta fanno eco in tutto il Medio Oriente, l’Italia appare intontita, attonita e si mostra immutabile di fronte a un cambiamento che nel suo mare sta facendo la storia orientale e non solo. E’ immutabile questo paese preda della paura di cambiare, il paese che preferisce il botulino e i festini burlesque alla voglia di cambiamento che le giovani generazioni hanno mostrato nelle piazze italiane. Il paese che attende Sanremo per celebrare i fasti dei 150 anni , che era storia e non fa più storia se non nelle prime pagine dei quotidiani esteri tra bunga-bunga, barzellette, festini, escort, il tutto per compiacimento dell’ultimo sultano.
La propaganda prima di tutto, lo spettacolo deve continuare e, mi raccomando, nessuno spari sul pianista. Celebrare l’anniversario nel migliore dei modi e, se fuori il vento dell’Africa spira forte anche sulla penisola, distraiamo il popolo. Eppure il vento soffia ancora e quando sul palco sale Davide Van De Sfroos a cantare Viva L’Italia, ecco uno schiaffo in pieno volto alla Lega Nord e ai leghisti che avevano preso ad icona il menestrello del lago di Como. Si sbavagliano perchè i cantautori raccontano sempre che esiste una società migliore, in questo caso l’Italia migliore, e, se avevamo dubbi che il festival della Propaganda potesse davvero essere un concentrato di amenità, ecco che Gianni Morandi canta Rinascimento, testo scritto da Mogol e Gianni Bella che ci riporta indietro per ricordare i fasti di un Paese che tra le sue corti produceva cultura e non i festini e il bunga bunga. Il principe di Machiavelli poteva avere i suoi difetti ma di certo anche pregi.
Le corti illuminate ci mancano, ci manca la cultura che giorno dopo giorno è colpita al cuore da cortigiani biechi e ciechi. Che si accendano i lumi della ragione in una povera patria che muta assiste al vento dell’Africa araba, scandito nella notte dai canti di protesta di popoli oppressi da anni e che oggi hanno in mente una parola mai potuta pronunciare e urlare con forza: libertà!