C’è un po’ di esitazione nella voce di Maria Sandra Mariani quando pronuncia il nome del battaglione Tarek ibn Zyad e del suo comandante Abdul Hamid Abu Zayd, di cui è prigioniera dallo scorso 2 febbraio. La conferma che la turista italiana sia nella mani dell’Aqmi (Al Qaeda per il Magreb Islamico) è arrivata con un messaggio trasmesso dall’emittente Al Arabiya all’alba di venerdì 18 febbraio, 16 giorni dopo il suo rapimento avvenuto nella regione sahariana di Tadrart, nel sud algerino. Una zona turistica, 250 chilometri a sud dell’oasi di Djanet, non lontana dalla frontiera con il Niger, dove i rapitori, una banda di 13 – 14 uomini, si sono diretti sui loro 4×4 per poi, verosimilmente, rifugiarsi nell’Adrar des Ifoghas, massiccio montuoso nel nord del Mali, al confine fra Algeria e Niger. Negli ultimi due anni i guerriglieri dell’Aqmi, provenienti in gran parte dal gruppo salafista algerino Gspc, si sono specializzati nel business dei sequestri prelevando venti occidentali (e una decina di accompagnatori locali) in Mauritania, Niger, Tunisia (nessun rapimento in Mali, in Algeria quello della cinquantatrenne tocana di San Casciano è il primo dal 2003). Da tempo non si hanno più notizie dei cinque dipendenti della multinazionale francese Areva, prelevati dalle loro abitazioni lo scorso 16 settembre ad Arlit (la zona mineraria nel Nord del Niger) e tuttora prigionieri dei militanti di Aqmi, mentre è finito in tragedia il sequestro di due giovani francesi, presi in un ristorante di Niamey il 7 gennaio scorso e uccisi il giorno seguente durante uno scontro a fuoco alla frontiera con il Mali fra militari francesi e rapitori.
Negli ultimi mesi le zone rosse, definite ad alto rischio dai warning delle ambasciate, si sono allargate coprendo aree sempre più estese in Algeria, Libia, Mali, Niger e Mauritania. La strategia dei sequestri, che si aggiunge ai traffici “classici” di armi, droga, immigrati clandestini, colpisce duramente le popolazioni locali. A fare le spese della crescente insicurezza sono i loro commerci, le loro speranze di sviluppo, in parte legate anche al turismo e alla cooperazione con Ong straniere che, creando legami, migliorano la qualità di vita e offrono un’opportunità per uscire dall’isolamento. “Les barbus” (i barbuti) dell’Aqmi impongono nel territorio che controllano le regole di un Islam intransigente, lontano culturalmente dalle tradizioni delle varie etnie e stanno mutando profondamente la vita dei villaggi e degli accampamenti dove, soprattutto i giovani, sono attratti dai facili guadagni offerti dai trafficanti.
Se i paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo vivono nelle ultime settimane cambiamenti tumultuosi, anche l’Africa subsahariana è tutt’altro che tranquilla. Insomma, grande è il disordine sotto il cielo africano.