Un’altra giornata lunga nella trincea de Il Secolo d’Italia. Spirito da guerriglieri vietcong, titoli strappapelle (“Torna la legge bavaglio”) ostentazione di sentimenti atarassici di fronte al bollettino del calciomercato berlusconiano. Sospira Flavia Perina: “Hanno messo in moto la fabbrica del fango, e quella del denaro. Hanno prospettato la disintegrazione fisica di chi stava con noi e la ricopertura d’oro di chi passava con loro. Se alla fine di tutto questo – sorride – ci hanno strappato solo tre parlamentari, non mi pare che siamo al tracollo. Sa cosa scrivono oggi i lettori?” La direttrice de Il Secolo indica uno scatafascio di lettere sul tavolo: “Andate avanti, andate avanti, andate avanti! Se questi sono gli umori di un esercito in rotta io non capisco più nulla di politica”.
Già. Ora. il prossimo obiettivo degli ex An rimasti fedeli al Cavaliere è “prendersi il giornale”. Lo scrive la stessa direttrice, nell’editoriale che firma stamattina, raccontando che il nuovo Cda de Il Secolo d’Italia, gestito “tutto da berluscones”, ha convocato una riunione per martedì prossimo. Se mancava un tassello al mosaico, ora non manca più nulla. La parola d’ordine di Silvio Berlusconi è chiudere l’offensiva contro Futuro e Libertà con una guerra lampo e con un azzeramento totale: prima la cancellazione dei gruppi parlamentari. Poi la sterilizzazione della sua coriacea voce mediatica. Chiedi a Enzo Raisi se la prospettiva lo spaventi e lui alza le spalle: “No, perché per quanto possano fare non riusciranno mai a cancellarci o imbavagliarci”. L’uomo macchina di Fli si mostra per nulla spaventato: “Stiamo pagando tutti insieme i prezzi della sottocultura berlusconiana. L’idea che hanno instillato in questi anni, e cioè che la politica sia un mercato sempre aperto, in cui si battono prezzi di asta a tutte le ore, fa impazzire le persone. Rende insanabili o insostenibili i conflitti che prima erano fisiologici. Pagheremo anche questo prezzo, per costruire una prospettiva nuova”.
Se ti aggiri per le stanzette del Secolo ponendo interrogativi sulla sopravvivenza del movimento e sul peso della diaspora, ti rispondono tutti allo stesso modo: “Siamo impegnati in una battaglia mortale, ma abbiamo visto ben di peggio”. Anzi. Ai finiani futuristi doc, in questo momento, piace respirare l’aria dell’innovazione assoluta, rimarcare che la compravendita dei parlamentari apre spazi a quel microcosmo di società civile che si è fatto strada nel nuovo progetto. Il sofisticato notista politico Valerio Goletti, per esempio, altri non è che Annalisa Terranova, una delle firme politiche più solide del giornale. E il ricorso allo pseudonimo non è dovuto a qualche timore politico, ma solo al fatto che la Terranova – come molti altri redattori – firma spesso due o tre pezzi a numero. Ebbene, Goletti-Terranova, nel giorno del grande big bang, ti racconta che ieri si è insediata la nuova segreteria politica di Fli in cui vengono quasi tutti dalla società civile e dalle professioni. E chi è il nome simbolo di questo nuovo organismo? Sorpresa. Il professor Alessandro Campi, che pure aveva criticato alcune recenti mosse di Fini. Il che è un simbolo del tourbillon che attraversa il partito-movimento. “Quando il gioco si fa duro i duri scendono in campo”, dice scherzosamente Luciano Lanna (condirettore del quotidiano) parafrasando i Blues Brothers. Vuole dire che le fughe di chi risponde al richiamo della foresta fa tornare in trincea quelli che magari avevano espresso dubbi politici, ma che non accettano il suk. “Mi rendo conto – spiega ancora la Perina – che quelli della mia generazione, nel bene o nel male, hanno l’abitudine a combattere in prima linea. Mentre molti altri non avevano questa preparazione e hanno pagato un prezzo”. Non troverete, sul giornale di oggi, invettive contro i transfughi: “Non mi piacciono. Ho visto esercitare pressioni pazzesche – spiega la direttrice – e mi rendo conto che chi non aveva la caratura per sostenerle è rimasto schiacciato”. È davvero così, dunque? L’eterna favola del pugno di coraggiosi che resiste a tutti e a tutto? Ovviamente no, perché dietro le professioni di sicurezza emergono anche paure e dubbi. E anche i rischi.
L’onorevole Menardi, quando ha dovuto motivare il suo distacco ha evocato la madre: “Ha 92 anni. Quando mi ha chiesto se davvero Fini stava andando con i comunisti mi sono reso conto che ci stavamo allontanando dal nostro elettorato”. Italo Bocchino, al contrario su questo è categorico: “I piccoli spostamenti di ceto politico non cambiano la novità del nostro messaggio, anzi. Il volto indispensabile di Fli è uno solo: quello di Gianfranco Fini”. Come dire che epurandosi ci si rafforza. Di questo i futuristi sono convinti. Sorride, Raisi: “Volete sapere un retroscena illuminante? Menardi aveva deciso di andarsene anche perché, forse ingiustamente, gli era stato preferito Rosso, ex forzista, come coordinatore regionale. Il bello è che Rosso se n’è andato un minuto dopo di lui”.
Ma il big bang è anche il pretesto per chiarire dispute identitarie antiche. La Perina è sarcastica: “Te lo immagini cosa diventano la nostra storia e questo giornale se il Secolo finisse nelle mani dei berluscones? Paginate regalate al fascismo di cartapesta di Lele Mora. Quello con la suoneria di Faccetta nera, che grida a Formigli ‘Spero che i fascisti arrivino a prenderti a calci!’, e poi imbarca le ragazzine da portare a Villa Certosa!”. Sì, è una resa dei conti finale, tra modelli culturali e politici: “Il processo di berlusconizzazione – dice Raisi – aveva contagiato anche le classi dirigenti. Anche noi. Ora, qualunque cosa accada, abbiamo fatto un punto e a capo”.
da Il Fatto Quotidiano del 19 febbraio 2011