Quasi trecento morti. I cecchini sparano sulla folla. Al Jazeera: "Il rais in Venezuela". Saif Al Islam, figlio di Gheddafi, evoca scenari da guerra civile e smentisce la fuga del padre: "Il colonnello guida la lotta da Tripoli". L'Ue: "Indignati dall'inaccetabile uso della forza"
Raid aerei sui manifestanti, colpi di mitragliatrice sulla piazza in protesta. E’ un’altra giornata di sangue quella vissuta oggi dalla Libia in rivolta contro il dittatore Muhammar Gheddafi, al potere dal 1969.
La sorte del leader libico rimane in ogni caso un mistero. Il ministero degli Esteri inglese dà per certa una sua fuga verso il Venezuela: “Non ho informazioni sul fatto che sia lì, ma ho avuto visione di informazioni che indicano che in questo momento si sta dirigendo là”. Ma la Ue e le autorità venezuelane per ora smentiscono: “Non è previsto il suo arrivo”. La notizia era già circolata questa mattina: secondo i gruppi di opposizione il Rais è ancora nel paese mentre per la televisione del Qatar il raìs sarebbe fuggito nel paese sudamericano. La notizia era stata poi smentita dal secondogenito Saif Al Islam: “Muammar Gheddafi sta guidando la lotta a Tripoli e vinceremo”. Il figlio del rais ha evocato scenari da guerra civile e il ritorno del potere coloniale.
Intanto l’immagine perfetta di quello che sta succedendo in Libia in queste ore è il palazzo del Governo dato alle fiamme dai manifestanti a Tripoli. Razziati e dati alle fiamme anche altri edifici governativi a Tripoli. La folla ha dato l’assalto alla sede della televisione nazionale pubblica. E questa mattina anche diverse stazioni di polizia della città sono state prese d’assalto e incendiate. La polizia e la sicurezza libica sono completamenti assenti nel centro della città, anzi le forze dell’ordine si sono date a saccheggi di uffici e banche.
Durissima la reazione dell’esercito. Le televisioni arabe riferiscono di colpi di mitragliatrice sulla piazza in protesta e di raid aerei contro i manifestanti a Tripoli, in cui sarebbero state sganciate bombe sulle zone in mano agli insorti. Al Jazira parla di almeno 61 morti nella capitale, ma la cifra potrebbe salire fino a 300 e forse più. Un dato difficile da aggiornare data la scarsità di informazioni e di copertura dei media. Nel pomeriggio, intanto, due caccia libici sono atterrati a Malta. I piloti hanno chiesto asilo politico. Una decisione motivata probabilmente dal rifiuto di bombardare i concittadini in protesta.
E mentre prosegue l’escalation di sangue nel paese nordafricano, la tensione rimane alta in tutto il mondo arabo ed anche in Iran. Ieri la protesta è esplosa anche in Marocco dove decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Rabat e e in altre città del per chiedere riforme costituzionali. E gli stessi organizzatori hanno dovuto annullare il gran premier di F1 del Bahrain, per paura che le tensioni possano sfociare in violenza. Ma dopo le rivolte di Tunisia ed Egitto, gli occhi della comunità internazionale sono puntati sulla situazione libica.
A quanto riferiscono le agenzie, lo scalo aereo di Bengasi, seconda città del Paese, è in mano ai manifestanti, tanto che a un aereo della Turkish Airlines, giunto in Libia per rimpatriare i cittadini turchi, è stato negato il permesso all’atterraggio. L’Unione europea intanto si preparerebbe a un’evacuazione dei cittadini comunitari dalla Libia, in particolare dalla Cirenaica e dalle altre aree orientali. Il ministro degli Esteri spagnolo, Trinidad Jimenez, ha dichiarato da Bruxelles: “Siamo estremamente preoccupati e stiamo coordinando la possibile evacuazione dei cittadini comunitari dalla Libia, specialmente da Bengasi”, il collega per gli Affari Europei, il francese Laurent Wauquiez, è stato più cauto: “Per il momento non sussistono minacce dirette che impongano l’immediato rimpatrio – ha detto – dei circa 750 connazionali residenti nel Paese nord-africano”.
Intanto si contano le vittime della giornata di ieri. Quella domenica di sangue che ha segnato il sesto giorno di proteste e l’ulteriore inasprimento del confitto in atto. Secondo l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch, dall’inizio delle proteste, lo scorso 17 febbraio, i morti sono 233. 60 nella sola Bengasi. Ed è proprio lì che si sono registrati gli episodi più gravi. Nonostante alcuni esponenti delle forze di polizia si siano unite ai manifestanti, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla arrivando a colpire anche un corteo funebre. La brigata responsabile della sicurezza in città, al-Fadil Abu Omar, ha usato contro i manifestanti anche razzi Rpg e armi anti-carro. “La maggior parte delle persone uccise in questi giorni a Bengasi sono state ferite da colpi d’arma da fuoco al cuore o allo stomaco”, ha riferito il medico dell’ospedale al-Jala di Bengasi, Mohammed Mahmoud, nel corso di un collegamento telefonico con la tv araba al-Jazeera.