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Frattini: “L’Europa non esporti la democrazia”. E B. finalmente si scopre “preoccupato”

Mentre Francia e Germania assumono una posizione fortemente critica nei confronti del regime libico, il governo italiano "non interferisce" e diffida l'Europa dall'imporre il proprio modello a Tripoli

Alla fine anche Berlusconi è intervenuto. Dopo due giorni di imbarazzante silenzio, il premier ha diffuso un messaggio sulla situazione libica, ma la nota di Palazzo Chigi suona come un “qualcosa dovevo pur dire” più che come una presa di posizione. Scrive la presidenza del Consiglio: Silvio Berlusconi, “segue con estrema attenzione e preoccupazione l’evolversi della situazione in Libia e si tiene in stretto contatto con tutti i principali partner nazionali e internazionali per fronteggiare qualsiasi emergenza. Il Presidente Berlusconi è allarmato per l’aggravarsi degli scontri e per l’uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile.  L’Unione Europea e la Comunità internazionale dovranno compiere ogni sforzo per impedire che la crisi libica degeneri in una guerra civile dalle conseguenze difficilmente prevedibili, e favorire invece una soluzione pacifica che tuteli la sicurezza dei cittadini così come l’integrità e stabilità del Paese e dell’intera regione”.

Sempre meglio, in ogni caso, di quanto dichiarato questa mattina dal ministro degli Esteri Franco Frattini. “L’Europa non deve esportare la democrazia”, aveva dichiarato a margine della riunione dei capi delle diplomazie europee a Bruxelles. Una dichiarazione lontanissima dalle posizioni espresse dai leader degli altri paesi europei, soprattutto alla luce del fatto che le forze armate italiane sono state mandate a “esportare la democrazia” in Iraq (per ben due volte) e in Afghanistan.

La linea del titolare della Farnesina sulla pesantissima crisi politica e sociale in Libia è quindi quella della non interferenza: “Noi vogliamo sostenere il processo democratico – continua il ministro – ma non dobbiamo dire ‘questo è il nostro modello europeo, prendetelo’. Non sarebbe rispettoso dell’indipendenza del popolo, della sua ownership”.

Domani, nel tardo pomeriggio, il governo dovrebbe in ogni caso arrivare ad esprimere una posizione ufficiale: a palazzo Chigi ci sarà un vertice tra il premier, Silvio Berlusconi e i ministri dell’Interno Roberto Maroni, della Difesa Ignazio La Russa, degli Esteri Franco Frattini e dello Sviluppo Paolo Romani per fare il punto sulla situazione alla luce di quanto sta avvenendo in Nord Africa. Il vertice è stato convocato nel tardo pomeriggio o in serata per attendere il rientro in Italia del ministro degli Esteri, che domani sarà in Egitto. Durante l’incontro, cui parteciperà anche il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta, saranno valutate anche le conseguenze sui flussi migratori degli avvenimenti di queste ore in Maghreb e in particolare in Libia.

Ad oggi, in ogni caso, l’atteggiamento mantenuto dall’Italia stona con quanto espresso dai titolari della diplomazia di tutti i paesi europei e degli Stati Uniti. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha parlato oggi a lungo con Gheddafi, chiedendogli di cessare ogni violenza. Lo si legge in una nota diffusa dalle Nazioni Unite. Il documento non precisa però se il colonnello si trovi ancora in Libia. Mentre una ferma condanna di ogni forma di violenza è arrivata dalla Ue: l’Unione europea ”condanna” la repressione delle manifestazioni in Libia e chiede la “cessazione immediata” dell’uso della forza. Lo chiedono i 27 ministri degli Esteri Ue in una dichiarazione comune adottata oggi nella quale si chiede anche “a tutte le parti” di astenersi da ogni forma di violenza.

Ma la condanna più dura di ciò che sta accadendo tra Tripoli e Bengasi arriva inaspettata dal vice-ambasciatore libico all’Onu: “E’ un genocidio”. Secondo la Bbc, l’intera delegazione libica alle Nazioni Unite avrebbe chiesto un intervento internazionale e l’istituzione di una no-fly zone su Tripoli. E tre dipendenti nondiplomatici dell’ambasciata libica a Stoccolma hanno annunciato oggi in una lettera di essersi dimessi dai loro incarichi per protestare contro le violenze. “Noi sottoscritti, dipendenti dell’ambasciata libica a Stoccolma, condanniamo il genocidio perpetrato contro civili in Libia”, scrivono Sayed Jalabi, Hamid Kassem e Abdelali Mahfuf in una lettera inviata ai media svedesi. I tre – un interprete, un impiegato dei servizi consolari e un centralinista, secondo la moglie di uno di loro – hanno esortato “gli altri a far sentire la loro voce”. In totale, dopo le dimissioni del ministro della Giustizia, nell’arco di 48 ore il regime ha perso un ministro e 5 ambasciatori.

Insomma, ancora una volta la diplomazia italiana non perde l’occasione di fare brutta figura davanti al mondo. Quella che sembrava solo un’infelice battuta di Silvio Berlusconi, che nei giorni scorsi aveva dichiarato “non voglio disturbare Gheddafi”, in realtà era una linea programmatica.

Che poi per Frattini Muammar Gheddafi sia un modello di democrazia è cosa nota da tempo. In un’intervista concessa a Claudio Caprara del Corriere della Sera il 17 gennaio 2011 e pubblicata sul sito del Mae (ministero degli Affari esteri) il capo della diplomazia italiana definisce il rais un modello di dialogo con le popolazioni locali per un paese arabo.

Nonostante la comunità internazionale condanni senza se e senza ma la violenta repressione in atto in Libia, il governo italiano sembra più preoccupato ad assecondare gli avvertimenti di Gheddafi sulle possibili ripercussioni sulle ondate migratorie provenienti dalla sponda sul del Mediterraneo. A tale riguardo, l’Unione europea ha riferito di aver ricevuto vere e proprie “minacce” arrivate da Tripoli che avrebbe convocato l’ambasciatore ungherese (paese presidente di turno dell’Ue), per riferire che il Paese non è più disposto a collaborare sul fronte dell’immigrazione se l’Europa continuerà a sostenere i manifestanti. Minacce simili, ha sempre riferito l’ambasciatore, sarebbero arrivate anche ad altre rappresentanze Ue in Libia.

Un messaggio che, se non a Bruxelles, qualcuno a Roma deve avere ascoltato con molta attenzione.

Le dichiarazioni di Frattini hanno provocato un vespaio di polemiche fra i banchi dell’opposizione. “L’Italia è l’unico paese in Europa che è stato a guardare”, dice Dario Franceschini, capogruppo del Partito democratico a Montecitorio che chiede a Silvio Berlusconi di utilizzare “il rapporto privilegiato con Gheddafi” perché si fermi la repressione nel sangue della rivolta libica.

Una posizione che viene rincarata da Felice Belisario, presidente dei senatori dell’Italia dei valori: “E’ inammissibile che l’Ue stia pensando di evacuare i suoi cittadini dalla Libia mentre per il nostro ministro degli Esteri dice di non interferire”.

Le opposizioni chiedono a Frattini di venire in aula a riferire e ad “assumersi la responsabilità del patto d’acciaio stretto per assecondare e proteggere Gheddafi – dice Belisario – quando la vita dei cittadini libici e dei nostri connazionali è in pericolo e le coste italiane rischiano di essere invase”.

Sulle strette relazioni che legano la leadership libica con il nostro paese è intervenuto anche Enrico Jacchia, responsabile del Centro di Studi Strategici, che in una nota mette in guardia il presidente del Consiglio dall’accogliere e ospitare in Italia il colonnello Gheddafi. “Se noi lo ospitassimo ci metteremmo in una situazione impossibile con il resto del mondo. Ma le alternative per Gheddafi sono poche”. Secondo l’esperto di strategia e difesa, è molto probabile che il rais, nel caso sopravviva e riesca a scappare da Tripoli, chieda asilo a Roma proprio in virtù dello stretto rapporto che lo lega con Berlusconi. E una decisione del premier di accoglierlo “ci metterebbe in una situazione impossibile con il resto del mondo”, dice Jacchia. Ecco perché secondo lui dovrebbe essere convocata una sessione di emergenza del Parlamento o almeno della commissione Esteri.