Oltre a una possibile ricaduta sui rifornimenti energetici, a preoccupare la comunità internazionale e il governo italiano sono le ripercussioni della crisi libica sui flussi migratori. In un’intervista al Corriere della Sera il ministro degli Esteri Franco Frattini dice: “Ci aspetta un esodo biblico, non lo sottovalutiamo”. Il rischio, secondo il responsabile della Farnesina, è che una volta caduto il sistema Libia, sulle coste italiane si riversi “un’onda anomala di 200-300 mila immigrati, ovvero dieci volte il fenomeno degli albanesi negli anni Novanta”.
La stima sul numero degli sbarchi che potranno esserci nelle prossime settimane è stata fatta ieri sera in un vertice a palazzo Chigi. Unico a parlare a margine è stato il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che ha ammesso: “Sì, siamo molto preoccupati per gli arrivi. Ci sono due milioni e mezzo di stranieri in Libia e quindi possono esserci problemi per i flussi di migranti”.
Gheddafi poi non è nuovo a usare l’arma degli immigrati come strumento di ricatto nei confronti dell’Europa e dell’Italia. Come se si trattasse di merce, il Rais ha ribadito le sue minacce solo pochi giorni fa, quando ha convocato l’ambasciatore ungherese (paese presidente di turno dell’Unione europea) per recapitargli un messaggio molto chiaro: se l’Europa avesse continuato a sostenere le ragioni dei manifestanti anti-regime, il colonnello non sarebbe stato più disposto a collaborare con il Vecchio continente sul fronte del contrasto all’immigrazione clandestina.
Al di là dei ricatti con cui Gheddafi gestisce la sua politica estera, una cosa è certa: la guerra civile in atto in tutta la Libia avrà delle ripercussioni pesanti sulle ondate migratorie provenienti dall’Africa.
E’ successa la stessa cosa con i moti in Tunisia, quando nei giorni scorsi Lampedusa, approdo naturale per chiunque parta dalla sponda sud del Mediterraneo, è stata letteralmente invasa da diverse migliaia di giovani in fuga dall’instabilità politica del loro paese.
Nonostante la notizia fosse stata ampiamente annunciata dalle cronache giornalistiche di mezzo mondo, il governo italiano si fece trovare completamente impreparato all’emergenza con gli effetti che ben conosciamo.
La paura ora è che anche in questo caso si ripeta lo stesso copione. Ma con numeri molto più alti.
“Non facciamoci cogliere impreparati”, questo l’appello di Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati e i richiedenti asilo, che ha invitato il governo nazionale e l’Unione europea a tenere alta l’attenzione sugli effetti che la grave situazione libica potrebbe avere sulle frontiere meridionali del Continente e soprattutto sulle coste italiane. “Molto dipenderà dalla dagli sviluppi della crisi – ha continuato la Boldrini – Se le proteste venissero ascoltate ci sarebbero dei cambiamenti e i libici potrebbero avere interesse a restare in patria. Ma se il potere non dovesse cedere è ipotizzabile che i ragazzi protagonisti della rivolta cerchino la fuga”.
Dal canto suo Bruxelles ha annunciato che, qualora ve ne fosse bisogno, la missione Frontex, dispiegata due giorni fa a Lampedusa, “può essere ampliata in termini di risorse umane e tecniche”. Lo ha assicurato il portavoce della commissaria europea agli Affari interni, Cecilia Malmstroem. Ma fonti Ue hanno anche avvertito l’Italia: non conti su uno smistamento del flusso migratorio: “Solidarietà” con il governo italiano, “disponibilità a fornire materiale umano e mezzi finanziari”, ma non ci sarà alcuna apertura nei confronti di una distribuzione del fardello dell’immigrazione proveniente dai Paesi del Nord Africa.
Per il momento la missione “Hermes“, organizzata dall’Ue nell’isola siciliana, conta su 30 esperti internazionali, quattro aerei e due elicotteri e altrettanti battelli italiani. Il compito è quello di monitorare gli arrivi, identificando i migranti che approdano a Lampedusa, verificandone la provenienza e la volontà di chiedere asilo: tutte informazioni da utilizzare per successive “decisioni politiche” sul loro trattamento.
Se a livello europeo qualcosa si muove per fronteggiare il sempre più probabile esodo, a Roma si litiga e si parla per slogan. Il livello di consapevolezza del governo italiano sulla gravità della situazione lo ha sintetizzato Umberto Bossi in una sola frase: “La situazione in Nord Africa porterà un’ondata di clandestini? Intanto non sono arrivati, speriamo che non arrivino. Se arrivano li manderemo in Francia e Germania”.
Anche il governatore siciliano Raffaele Lombardo non ha fatto di meglio. Senza spingersi come il Senatùr verso il nord Europa, ha comunque detto che di una possibile ondata migratoria proveniente da Libia, Tunisia ed Egitto se ne dovrebbero fare carico regioni come la Lombardia e il Veneto. Parole che hanno provocato l’alzata di scudi da parte degli interessati. Il veneto Roberto Cota ha detto che il politico siciliano “ha perso una buona occasione di stare zitto” e il collega lombardo Roberto Formigoni ha bollato come “triste” l’intervento dell’esponente dell’Mpa. “Siamo in presenza di una tragedia dalle dimensioni storiche – ha dichiarato il titolare del Pirellone – alla quale non vorrei si rispondesse con le nostre piccolezze”.
Al vuoto della politica italiana risponde il terzo settore. Sia Amnesty international che la Caritas hanno chiesto al governo di sospendere l’accordo sottoscritto con la Libia nel 2008 in tema di contrasto all’immigrazione irregolare. “Dobbiamo dire che è fallita la politica degli accordi bilaterali con la Libia sui flussi per fermare l’immigrazione”, ha detto Oliviero Forti, responsabile nazionale immigrazione della Caritas.
Su come fare fronte al sempre più probabile esodo di migliaia di cittadini dalla sponda meridionale del mare nostrum il governo naviga a vista. E la situazione può diventare ben più grave di quella che abbiamo visto nei giorni scorsi a Lampedusa. Potrebbe infatti riaprirsi la rotta degli schiavi che negli anni scorsi ha portato sulle coste lampedusane decine di migliaia di immigrati provenienti dall’Africa Sub-sahariana. Una falla che Roberto Maroni aveva temporaneamente chiuso con gli accordi con Tripoli e con la dissennata politica dei respingimenti dei barconi in alto mare.
Aggiornato alle 10.00 del 23 febbraio 2010