Hillary Clinton il 5 febbraio ha detto che in Medio Oriente si potrebbe assistere a una “tempesta perfetta”. Dichiarazione d’impotenza e di attesa? O se invece Obama, zitto zitto, avesse deciso e convinto i riluttanti militari del Pentagono abituati alla dottrina Bush che la guerra si fa alla vecchia maniera della Guerra fredda, senza annunci, senza dispiegamenti spettacolari di truppe, senza ideologie di democrazia globale ed esportazioni delle stessa in altri mondi culturali; bensì un cambiamento dal basso, nel senso dal sottosuolo delle rivolte, nel silenzio, come una volta, con la Cia e i finanziamenti ai gruppi di opposizione e di opinione, con infiltrati e manovre clandestine.

Sarebbe davvero una sorpresa e avvalorerebbe – a posteriori – il premio Nobel per la Pace vinto a sorpresa nel 2009 – dopo quello che è stato da tutti definita la migliore offensiva diplomatica e culturale del nuovo inquilino della Casa Bianca: il discorso di riconciliazione con l’Islam dal Cairo, il 4 giugno 2009: “Cerchiamo un nuovo inizio” – e in qualche modo una spiegazione del timing rapidissimo e perfetto della caduta a domino dei regimi del Maghreb (in attesa di quelli mediorientali in generale?).

Ma forse no, la fantapolitica non c’entra: la tempesta perfetta è prodotta solo dal mare montante dei popoli che nel loro flusso verso lo sgorgare delle libertà individuali hanno prodotto una svolta improvvisa ed epocale del mondo contemporaneo, ancora capace di stupirci. E’ l’ennesima fine della storia  (di Fukuyama). E l’inizio di un’altra storia. E un altro mondo (arabo). E non solo.

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