Castellammare di Stabia (Napoli) – “In questa città la camorra uccide anche i politici, ricordatevelo, onorevole”. La minaccia, nitida, arriva sul cellulare del senatore stabiese dell’Italia dei Valori Aniello Di Nardo il 7 maggio del 2009. Circa tre mesi dopo l’omicidio del consigliere comunale stabiese del Pd Luigi Tommasino, trucidato da un commando camorristico nella sua auto mentre percorreva un tratto di Viale Europa, proprio di fronte alla sede distaccata del Tribunale. Dall’altro capo del telefono c’è il 32enne Giuseppe Boccia, del clan D’Alessandro, detto Peppe ‘Grillo’ oppure ‘o Negrone’, uno dei boss più temuti della zona dell’Acqua della Madonna.
Boccia ‘reclama’ dal parlamentare un posto di lavoro. Suo padre qualche mese prima ha chiesto all’esponente dell’Idv una raccomandazione per un impiego. E Di Nardo, che non sa di avere a che fare col papà di un presunto camorrista, ha risposto che avrebbe tenuto in considerazione la richiesta a avrebbe cercato di aiutarlo “nell’ambito del consentito e del lecito”. Il clan D’Alessandro è quello che, come hanno appurato in seguito le indagini della Polizia e della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha ordinato l’omicidio di Tommasino. Ma il senatore dipietrista, componente dell’ufficio di presidenza del Senato, in quel momento non sa bene con chi ha a che fare, sottovaluta la portata dell’intimidazione e si rivolge alle forze dell’ordine lamentando solo generiche molestie, e senza sporgere querela. Qualcuno si attiva, perché a Di Nardo il giorno dopo arrivano le scuse del papà di Boccia.
Il parlamentare percepisce la serietà del pericolo solo nell’agosto successivo, quando apprende dell’arresto del capoclan Vincenzo D’Alessandro e del fatto che in occasione della cattura si trovava in compagnia di Boccia. A quel punto Di Nardo torna dalla Polizia e circostanzia il tutto in una dettagliata denuncia. Descritta integralmente a partire da pagina 1035 della lunga e corposa ordinanza con cui la Dda di Napoli ha fermato con accuse di associazione camorristica Boccia e altre 11 persone del clan D’Alessandro al termine di un’indagine nata con l’omicidio Tommasino. Un’indagine che ha finito per rivelare il contesto criminale in cui il delitto avvenne e il potere criminale del sodalizio, che riciclava in Toscana i proventi delle estorsioni e dello spaccio di droga, attraverso la complicità di pregiudicati del napoletano trasferiti nella regione. Nell’ottobre del 2009 sono stati arrestati i presunti killer di Tommasino: uno di loro è risultato iscritto al Pd, ha partecipato alle primarie cittadine nella stessa lista del consigliere comunale. Ma sono ancora ignoti i mandanti e il movente.
Di professione Di Nardo è dentista e conduce un avviato studio nel centro di Castellammare di Stabia, a poche decine di metri dalla sede del Comune. E’ nel suo studio che ha conosciuto il papà di Boccia. “Questi – spiega il parlamentare ai dirigenti del commissariato di Polizia – mi portò il figlio Giuseppe per delle cure odontoiatriche che si sono protratte per qualche seduta. In quella circostanza, l’uomo mi chiese una raccomandazione per il figlio finalizzata a ottenere un generico posto di lavoro. Dissi che avrei tenuto in considerazione questa sua richiesta, e nell’ambito del consentito e del lecito avrei cercato di aiutarlo. Passato del tempo…. sulla mia utenza cellulare 335 (…) mi giunse una chiamata con la quale l’interlocutore, qualificatosi come Giuseppe Boccia, del quale peraltro riconobbi la voce, ritornò nuovamente sull’argomento del posto di lavoro, questa volta con fare minaccioso, ricordandomi cioè che in questa città la camorra uccideva anche i politici”.
Asciutto il commento del parlamentare: “Denunciando ho fatto solo il mio dovere. Un politico dovrebbe sempre denunciare i reati di cui è a conoscenza, tutti i cittadini dovrebbero fare così”.