Il testo voluto dal governo dopo il caso Englaro approderà alla Camera all'inizio di Marzo. Se approvato, idratazione e nutrizione artificiale non potranno essere più rifiutate. E il medico potrà non tenere conto del parere lasciato dal paziente. Intervista al professor Cosmacini, medico e storico della medicina
Prof. Cosmacini, il testo che sarà esaminato dalla Camera ha conservato l’impostazione di due anni fa: il testamento biologico non sarà vincolante per il medico e l’idratazione e la nutrizione artificiali non potranno essere sospese perché considerate “forme di sostegno vitale”. Come giudica il disegno di legge?
«Sono perplesso. A mio avviso la legge dovrebbe essere riscritta. Una normativa efficace dovrebbe considerare l’evoluzione nel tempo della problematica del fine vita. Nel 1968 lo stato di coma irreversibile fu identificato con la morte cerebrale. Intanto negli ospedali, grazie alle nuove tecniche di rianimazione, aumentavano i pazienti in completa e perdurante incoscienza, dovuta ai danni irreversibili del loro cervello, senza che il loro cuore avesse cessato di battere. La morte cardiaca fu così aggiornata nella morte cerebrale, che anticipava la certificazione del decesso a prima dell’arresto del battito cardiaco. Il primo effetto di quella svolta storica fu che i medici rianimatori, nello staccare le loro macchine non erano più considerati assassini, si sgravavano le famiglie da logoranti e inutili attese, e si evitava alla sanità pubblica l’onere di un’enorme spesa assistenziale. Fino a 50 anni fa il rischio era di una morte apparente, mentre oggi c’è da temere la vita apparente, cioè l’idea di dover essere tenuti in vita pur essendo morti. Per quanto riguarda la nutrizione e l’idratazione, è o non è una terapia medica la gastrostomia, o l’introduzione di un sondino nella bocca di una persona in stato di incoscienza? Vorrei sapere se i fautori della legge sono mai stati in una sala di rianimazione».
Ieri il giurista Stefano Rodotà ha lanciato un appello contro una legge che “cancella il diritto all’autodeterminazione”. Il senatore del Pdl Maurizio Gasparri si è rivolto ai cattolici dell’opposizione, definendo la linea del centrodestra “l’unico argine alla deriva laicista che ci porterebbe dritti all’eutanasia”. Esiste una zona neutra che diventi il terreno per un testo condiviso?
«Si dice giustamente che la vita è sacra, e cioè data da Dio, e questo vale per i credenti. Tuttavia anche gli altri, per i quali la vita è un fenomeno naturale, hanno diritto comunque al rispetto civile e morale, perché anche per loro la vita ha una sacralità, in quanto intrisa di valore etico. Il testo condiviso dovrebbe dirimere questo riferimento al divino. I principi di tolleranza sono da ricercarsi in un’etica laica condivisibile sia da chi crede, sia da chi non crede. È quella la zona neutra. Chi nutre laicamente delle certezze relative, perché deve accettare verità assolute imposte da altri?».
La legge in questione carica il medico di enormi responsabilità, sia dal punto di vista etico, perché lo autorizza a non tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, sia dal punto di vista penale, per i rischi che si troverà a correre.
«Temo che quest’aspetto complicherà molto la situazione, che è già difficile di per sé. Oggi nei reparti non c’è solo la scienza medica: il nostro lavoro è ispirato anche dalla coerenza, dalla coscienza, e anche dall’attitudine caritativa. Rianimatori e anestesisti si fanno carico di molti problemi, e nel rapporto con i familiari agiscono con probità e responsabilità. Il nuovo ddl penalizzerebbe molto la classe medica. L’ombra dell’omicidio su un eventuale atto lecito del medico è ricattatoria e creerà insanabili fratture. Per i fautori della legge suonano a monito le parole di Giovanni Paolo II che, alla terza tracheotomia, disse ai suoi medici: “lasciatemi tornare alla casa del padre” ».
In altri paesi europei vigono da tempo leggi in materia di fine vita: dall’Olanda, che prevede anche una forma di “suicidio assistito”, fino alla Francia e al Regno Unito che prevedono il diritto all’autodeterminazione per il malato. Quale di questi sistemi potrebbe essere un modello per l’Italia?
«Dobbiamo fare i conti con la nostra storia: noi siamo i figli della Controriforma, nel bene nel male. Tuttavia non voglio indicare questo o quel Paese, ci sono leggi buone e meno buone, dico però che i parlamentari, dell’uno e dell’altro schieramento, se senzienti e coscienti, devono trovare una soluzione. Una legge che disciplina il processo cruciale dell’esistenza umana – la morte e il morire – deve consentire, ai cittadini di uno Stato di diritto, la scelta sul come essere curati nei momenti estremi. Deve permettere loro la piena libertà e dignità di essere soggetti di decisioni proprie e non oggetti di decisioni altrui».
Nel suo libro sostiene che la definizione “testamento biologico” è impropria. Perché?
«Preferisco chiamarlo “testamento biografico”. La biologia concerne l’organismo, e quindi il corpo, fino alle nostre molecole. Qui invece si tratta di lasciare un’eredità di affetti: io lascio il mio patrimonio personale, e non il patrimonio organico, dico ai miei cari cosa devono fare non del mio cadavere, ma di me come persona. Noi restiamo nella memoria di chi sopravvive. Chi è depositario di questa memoria ha l’obbligo, anche morale, di rispettare un testamento che è anche un patrimonio di emozioni, di credenze, di fedi. Io lascio il mio testamento perché sia esaudito, e se chiedo che in caso di coma irreversibile mi si lasci andare, devo essere rispettato. Tra la vita organica e quella biografica c’è una differenza sostanziale».