L’artista che andiamo a conoscere è una giovane cantautrice, dal volto che sembra uscito da un film degli anni Settanta e una voce alla Nancy Sinatra: il suo nome d’arte è Eco Nuel. Dopo un’esperienza nella storica formazione dei Proteus 911 prima e quella di Eco & Henry Hugo, dopo, Eco Nuel ha realizzato un album tutto suo, in collaborazione con Massimiliano Gallo (Proteus 911/Rockbottomrec.) e Cristian Motta (Proteus911), in uscita dalla prima settimana di marzo. Almost White è un disco istintivo, pensato e sviluppato in un tempo abbastanza breve. Nove brani, nove donne, nove stati d’animo. Ascoltandolo la prima sensazione è di freschezza: un suono effervescente, a tratti impetuoso, che cresce sotto la spinta di unl’intesa perfetta tra strumenti. Il piano, le percussioni e le chitarre elettriche sono perfettamente in sintonia creando un tessuto soft dalle molteplici sfumature su cui spicca la flessuosità della voce di Eco.
Aria da femme fatale, abbiamo incontrato Eco Nuel durante una splendida giornata di sole a Roma, e seduti a un tavolino di un bar è nata un’intervista davvero molto interessante.
Partiamo dal tuo nome d’arte: perché la scelta di chiamarti Eco Nuel?
Mi porto questo nome dal 2004, nato per un progetto improntato sulle sperimentazioni radiofoniche, Eco-Mike, che consisteva in improvvisazioni in cui radiofrequenze, rumori ed effetti di ogni genere sembravano vivere di vita propria, in cui spingevo la voce raggiungendo tonalità quasi innaturali, utilizzando radio ricetrasmittenti come se fossero sintetizzatori. La maggior parte delle apparecchiature usate per creare suoni ed effetti erano appositamente costruite. L’alfabeto utilizzato dai radioamatori è quello fonetico e nell’alfabeto fonetico per dire la lettera E (iniziale del mio nome di battesimo) dici Eco. Eco è anche la ninfa mitologica che per passione si consuma e resta solo voce. “Nuel” compare per la prima volta in questo disco, ma è sempre una parte del mio nome di battesimo.
Almost White è il tuo primo album da solista. Cos’è che ti ha ispirato nella sua creazione?
Nella copertina del disco è racchiuso il concetto che è alla base del disco: abbandoniamo per un attimo la convinzione che polo negativo e polo positivo (bene e male, bianco e scuro, gioia e dolore) siano agli antipodi e partiamo invece dal presupposto che debbano per forza essere in equilibrio. Mentre tendiamo alla parte chiara stiamo sviluppando anche quella scura. Infatti White è scritto in nero. Se dovessi raggiungere il White, troverei anche il Black ad aspettarmi.
Il bianco che è sulla copertina non è un bianco nitido, è sempre opaco, e nell’Almost c’è il senso. In quel ‘quasi’ sono collocati i nove brani del disco. Nel cercare di raggiungere e di fallire allo stesso tempo. Perché questa tensione è la vita, è l’energia. Tra sacro e profano, tra passato e futuro, scivola il presente, il tentativo di raggiungere qualcosa con tutta la forza che abbiamo in corpo, il desiderio.
Nella lavorazione dell’album ho cercato di fare spazio… far fluire le idee, lasciare tutto quello che ho ascoltato fuori dal processo creativo. I brani non nascono sempre nello stesso modo, a volte ho già un’idea del testo, a volte nasce prima la musica ed è la musica che mi fornisce l’idea. Ho lavorato a questi brani con Massimiliano Gallo e Cristian Motta come se fossimo un gruppo, dove ognuno ha la sua parte, è il mio progetto ma è anche il nostro progetto, siamo una squadra, ci siamo alternati agli strumenti, è stata un’esperienza esaltante, ho suonato persino la batteria in qualche punto; ed è stata preziosa la collaborazione di Luca D’Alberto agli archi e quella di Oreste Forestieri ai fiati. Credo che alla fine ognuno faccia la musica che sa fare, non so se ho reso l’idea… mi sarebbe piaciuto fare un disco elettronico, ma non ne ho i mezzi e le competenze, o confezionare un album che suona una bomba, ma sono pienamente soddisfatta del risultato, considerando le risorse tecniche e monetarie di cui disponevo.
Cosa vuol dire oggi “donna” in Italia e musicista?
L’ambiente musicale italiano è sicuramente caratterizzato da una presenza prevalentemente maschile, in una band di quattro persone è sicuramente più frequente vedere una donna e tre uomini, e non il contrario. E’ un lavoro che ti porta a essere quasi sempre in viaggio, subentrare ai turni di guida, caricare e scaricare gli strumenti, dormire in alloggi improvvisati, spesso cambiarti d’abito velocemente dove capita e all’ultimo momento prima di salire sul palco, se sei una ‘principessina’ ti stressi moltissimo, ma io mi adatto con estrema facilità, mi trucco in macchina e non mi scombussola l’idea di fare un sound check coi bigodini.
Fra le canzoni dell’album in quale ti identifichi di più?
Una parte di me si identifica in tutte. Vedo nove donne diverse in queste nove canzoni, ma vedo anche sfumature di me stessa in ognuna di esse, lati negativi e lati positivi della mia persona. Ma se dovessi citartene una in particolare allora ti citerei Insomnia. Soffro spesso di insonnia e una notte che ero particolarmente stanca e desideravo solo riposare, d’istinto ho detto ad alta voce ‘Bene, vedo che sei qui anche stasera, lasciami in pace’, come se l’insonnia non fosse una condizione ma una persona che mi impediva di dormire. E ho deciso di farci una canzone, Insomnia appunto, in cui lo stato emotivo viene catapultato all’esterno e l’inquietudine si materializza in una creatura che viene interrogata dall’insonne. Un dialogo onirico, la surreale richiesta al subconscio di una tregua, un’atmosfera notturna, solitaria, un arrangiamento essenziale, un brano che deve implodere anziché esplodere, Insomnia è una bolla sospesa tra lo stato di sonno e lo stato di veglia. Il mio piano e la viola (Luca D’Alberto) che si rincorrono nelle note finali a rappresentare queste due entità distinte che si confrontano, e che nell’ultimo passaggio di note finalmente combaciano, si fondono, trovano un compromesso.
So che hai lavorato anche all’estero in campo musicale: quali sono le differenze che si notano maggiormente?
In Italia il pubblico è molto colto, mi riferisco al pubblico underground, indie, come vogliamo chiamarlo, è un pubblico esigente, preparato, critico, molti sono musicisti o operatori di settore, un pubblico che ha già ascoltato di tutto, che ha visto di tutto, che non si emoziona facilmente e questo è un bene, è uno stimolo a migliorarsi, perché se si ha la pretesa di stare su un palco bisogna anche avere uno spettacolo valido o quanto meno dignitoso da proporre. I musicisti stranieri sono più disposti a collaborare, a condividere un palco, a creare formazioni nuove, in Italia solo una piccola minoranza lo fa, spesso tra musicisti ci si guarda con competizione, e questo non mi piace, ribadisco che questo discorso non vale per tutti i musicisti italiani. Spesso mi contattano musicisti stranieri che vengono a suonare in Italia, mi scrivono ” Eco, in data tot suono qui, fai qualche brano con me?”, con molta semplicità. In Italia nella maggior parte dei casi lo fai se chi inviti ha un ‘nome’ più conosciuto del tuo.
In ultimo, una domanda d’obbligo. Qual è l’importanza che ricopre Internet nel tuo lavoro?
Internet è uno strumento di comunicazione fondamentale per chi svolge questo lavoro, se fai che so, il calzolaio o il medico non devi per forza stare dietro alla rete e alle sue evoluzioni, se fai il musicista, se lavori nella comunicazione, devi farlo per forza, devi aggiornarti, in questo mestiere se non sei su internet non esisti. La collaborazione con Henry Hugo, che ci ha portato a pubblicare un Ep e a fare subito un tour insieme, non sarebbe esistita senza Myspace. Ho prenotato un volo per Zurigo e un volo di ritorno dopo una settimana, non ci eravamo mai incontrati di persona, un salto nel vuoto e forse nessuno dei due si aspettava che sarebbe nato davvero un progetto, come invece è avvenuto.
E per chi volesse saperne di più su Eco Nuel basta andare sul suo Myspace.