Il Pdl accelera sulla giustizia in tre mosse: avanti sul ddl intercettazioni, sul processo breve e quindi sollevando il conflitto di attribuzione sul caso Ruby. Così ha deciso ieri sera la Consulta Pdl. Immunità no, processo breve sì. Così aveva detto Umberto Bossi solo quarantotto ore fa, facendo emergere un patto di scambio tra la Lega e il Pdl. Il voto sul federalismo in cambio della nuova spallata di Berlusconi sul fronte della giustizia, quella per lui più urgente.
Così una maggioranza ormai in lotta contro il tempo ha immediatamente quantificato il nuovo patto, calendarizzando per il 28 marzo la discussione in aula del processo breve. Eppure solo ieri da palazzo Grazioli era emersa un’indicazione contraria all’accelerazione del disegno di legge, poi la “scossa” di Bossi e quindi questo radicale cambiamento di rotta. Che rischia di devastare la giustizia in tempi rapidissimi: nel Pdl il diktat è di approvarlo entro la fine di aprile, nonostante un nuovo e necessario passaggio al Senato per il voto di quelle modifiche che verranno inserite alla Camera, come la prescrizione breve, altrimenti non morirebbero alcuni processi di Berlusconi. La maggioranza allo sbando dunque arriva a cambiare idea in poche ore. “Abbiamo riproposto, e allora? Risponde, stizzito, Fabrizio Cicchitto. Non avevamo annunciato niente di ufficiale”.
Il problema è comunque quello che si porrà al momento dell’approvazione e della firma del Quirinale che, ovviamente, non è affatto certa, anzi. Visti i nuovi, gelidi rapporti tra il Colle e il Cavaliere, soprattutto dopo i rilievi sollevati sul ddl milleproroghe, quella della corsa al processo breve non può che essere letta come un’ulteriore forzatura di Berlusconi per costringere Giorgio Napolitano a una firma solo per evitare un nuovo, pesante scontro istituzionale; i pronostici depongono a sfavore di una vittoria del Cavaliere che, tuttavia, non ha altre grandi possibilità.
Il Pdl, infatti, è segnato da grande nervosismo. Ieri Berlusconi, parlando a una manifestazione romana, si è lamentato per l’ennesima volta di “non essere in grado di portare a termine le riforme come promesso. Avevo più potere da imprenditore – si è lagnato – se volevo fare facevo. Come presidente del Consiglio, invece, non posso fare quasi nulla”. Comunque, con il prossimo approdo del processo breve in aula alla Camera, la macchina schiacciasassi berlusconiana si è messa in moto. Le speranze di uno stop alla distruzione della giustizia italiana sono riposte solo in Napolitano. E comunque i magistrati non si rassegnano a una legge che falcidia decine di migliaia di procedimenti. Persino magistratura indipendente, la corrente di centro-destra, osserva che il governo “si propone una riforma” che ha come effetto “una inaccettabile giustizia negata”. Ma per Berlusconi è fondamentale raggiungere almeno un obiettivo“minimo”: far morire almeno due processi: Mediaset e Mills, che riprendono a Milano, dopo la bocciatura del legittimo impedimento da parte della Consulta, rispettivamente il 28 febbraio e l’11 marzo.
Il processo che vede Berlusconi imputato per la corruzione di un testimone, l’avvocato David Mills ( già condannato e prescritto), ha molte possibilità di arrivare a sentenza di primo grado e d’appello, essendo il premier l’unico imputato, anche se la prescrizione è prevista fra meno di un anno. Ed è proprio in considerazione di questa mannaia che ieri sera il plenum del Csm si è pronunciato contro l’azzeramento del dibattimento. Ha deciso quindi che la presidente del collegio, Francesca Vitale, deve essere applicata, nonostante sia adesso alla quinta sezione penale della corte D’Appello. Il plenum ha così confermato quanto proposto dalla competente Settima commissione che si era espressa perché Vitale continuasse a presiedere il processo Mills, dato che sussistono “imprescindibili e prevalenti esigenze” del tribunale di Milano, rappresentate “dalla necessità di ricomporre il medesimo collegio” che ha superato le questioni preliminari proposte, aperto il dibattimento e infine emesso l’ordinanza di ammissione delle prove. Un’attività che ha richiesto “ben tre udienze” e che non può essere sottovalutata” perché la prescrizione è prevista “per il 13 gennaio 2012”. A disporre l’applicazione del giudice, su sollecitazione del Tribunale, era stato il presidente vicario della Corte d’appello. Contro quel provvedimento si erano opposti sia Vitale sia il presidente della sua sezione d’ appello. Troppo lavoro nel suo nuovo ruolo, aveva detto, tra l’altro, la giudice. Ma secondo il Csm non c’è contrapposizione e ricorda che in casi come il suo “ non è prevista alcuna richiesta di consenso dell’interessato”. Dunque Francesca Vitale deve presiedere il processo anche se avrebbe tanto voluto evitare questo dibattimento che, come sempre quando c’è di mezzo il presidente del Consiglio, sarà segnato da battaglie dentro l’aula, e soprattutto, fuori dall’aula.
di Antonella Mascali e Sara Nicoli
Da Il Fatto Quotidiano del 24 febbraio 2011