Da tanti anni ormai, conosco una mamma di nome Chiara. Per me in realtà è la mamma di Simone. Simone è un ragazzo di 15 anni veramente molto bello con due occhi azzurri che colpiscono e si imprimono nella memoria e nel cuore.

Alla metà di gennaio Chiara mi ha chiamata e mi ha raccontato quello che stava vivendo. I mesi passano, la sua vita è inchiodata al muro della cieca/sorda/bestiale/rovinosa/discriminatoria burocrazia. Ci siamo scambiate delle e-mail, e voglio riportarle perché si capisca che ognuno di noi, mentre conta il passare dei giorni, dimentica che in quelle ore accade anche questo:

“Mio figlio Simone ha 15 anni e una gravissima disabilità (tetraparesi distonica, epilessia e cecità) con insufficienza respiratoria causata da infezioni polmonari dovute alle difficoltà di deglutizione. E’ stato sottoposto  ad un intervento urgente per il posizionamento di una Peg presso il Bambin Gesù di Palidoro. Dai medici è stata richiesta l’attivazione delle dimissioni protette per supportare il rientro in casa del minore e sostenere anche la madre, unico familiare in grado di assisterlo e anch’essa con problematiche sanitarie. Il Cad (Centro di assistenza domiciliare) della Asl Roma B del 1° distretto è intervenuto la settimana scorsa presso l’ospedale dove mio figlio era ricoverato insieme a me, chiedendo, per attivare il servizio, la certificazione di messa a norma dell’impianto elettrico della nostra abitazione ai sensi della legge 626. Purtroppo la messa a norma richiede un esborso economico di 5.000 euro, per scoprire poi che tale adeguamento è necessario solo per aggiungere un gruppo elettrogeno in supporto all’apparecchiatura di respirazione continua, che fortunatamente a mio figlio non serve e non è mai servita.

Eliminato questo primo ostacolo per l’attivazione delle dimissioni protette, in ospedale sono arrivati ben sette operatori del Cad per comunicare a me e ai medici che, in seguito ad una chiara direttiva del dirigente, questo servizio non avrebbe potuto essere avviato in quanto, ai sensi della Legge 1020/98, 325 e 326 di non si sa che anno, l’infermiere, il terapista e tutto il personale non avrebbero potuto operare a domicilio di un minore se non in presenza del genitore o di un familiare che aveva una delega a tutela. Da quando Simone si è aggravato, non è la prima volta che nessuno si assume la responsabilità di sfiorare nemmeno mio figlio come se fosse, nella sua disabilità, altamente contagioso.

Da tempo sto cercando di attivare l’istruzione domiciliare perché sono circa due mesi che il ragazzo non riesce a frequentare la scuola. Il municipio, appreso dell’aggravamento della situazione sanitaria di mio figlio ha agito celermente: sospendendo ogni supporto erogato per la sua frequenza. La scuola ha “offerto” 15 ore settimanali con l’insegnate a domicilio, che però non può venire se non in presenza dell’Aec (assistente educativo-culturale), può solo cambiarlo, ma non può né nutrirlo, né vigilare sulle condizioni di saturazione di ossigeno ed eventualmente supportarlo, e quindi può operare solo in presenza dell’infermiera, che però non può operare se non sono presente tutto il tempo io! E’ qualcosa di allucinante!

Da tempo io assisto mio figlio da sola, gli faccio la terapia respiratoria per tre volte al giorno alzandomi alle 5 di mattina per riuscire anche ad andare a lavorare, lo nutro con il bolo, lo mobilizzo, lo cambio, lo seguo negli apprendimenti e nelle autonomie, creo contesti socializzanti per permettergli di frequentare i suoi coetanei… sostituendo medici, infermieri, insegnanti, operatori educativi, fisioterapisti ecc. E’ mai possibile una situazione del genere?”

Termina così la sua prima e-mail, con la quale chiede l’aiuto mio e di tutti. Pochi giorni fa le ho chiesto se qualcosa fosse cambiato, e questa è stata la risposta :

“Uff Fabià, io sto pure peggio… se si può dire e… magari riuscissi ad uscire! :(

Oggi c’è stata una ‘simpatica’ riunione in casa mia con la dirigente del Servizio per l’autonomia e l’integrazione sociale della persona disabile, l’assistente sociale del municipio, la dirigente scolastica, l’insegnante di sostegno e l’Aec,  e poi c’era una signora, pagata da me, alla quale sto insegnando a prendersi cura di Simone. Tutta ‘sta bella gente ha affermato che, viste le condizioni di Simone, non possono operare senza il supporto infermieristico del Cad. Sentita la Asl, il referente del Cad ha riconfermato che l’infermiere non può operare senza che sia presente un tutore o chi si assume, per iscritto, la tutela legale del minore. Ergo: io non posso andare a lavorare e devo restare con mio figlio ogni volta che è presente una persona. Ho chiesto al municipio, visto che ha sospeso le 25 ore di Aec scolastica di mio figlio, di ridarmele sotto forrma di assistenza anche indiretta, in modo che io possa pagare l’assistente privata che sto istruendo, mandare al diavolo il Cad e tornare al lavoro. No. Manco questo  mi danno e quando ho minacciato d’incatenarmi davanti al municipio hanno detto ‘Faccia pure,tanto il problema è della Asl’.

La Asl mi dice che il problema non è loro, perché loro mi danno tutte le figure che chiedo, ma tali professionisti non possono operare per legge se non sono presente io… per cui, cara Fabiana, me la prendo in saccoccia: il problema è solo mio. Ma davvero devo incatenarmi perchè qualcuno s’interessi a questa storia? Però: a chi lascio Simone?

A oggi, nulla è cambiato. Chiara è felice perché Simone, dopo un mese, ha potuto assaggiare tre cucchiaini di purea di frutta durante la logopedia, dimostrandosi ben felice di avere in bocca un sapore piacevole. Simone è sempre stato una buonissima forchetta.

Voglio che questa storia abbia voce, perché non è l’unica. E perché apre il sipario sul mondo invisibile di una ingiustizia sociale che mi fa provare un grande senso di vergogna.

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