Via Palestro, pochi minuti dopo le undici di sera. La Fiat Uno salta in aria. Cinque morti, diversi feriti, il padiglione d’arte contemporanea sventrato. Il terrorismo mafioso colpisce Milano. È il 27 luglio 1993. La Corte condanna sei persone come esecutori materiali. Altri due se ne aggiungeranno poco tempo dopo. Sono i fratelli Formoso, basisti e titolari del “pulciaio” a Caronno Pertusella dove viene nascosto l’esplosivo. L’elenco così si aggiorna a otto. La lista, però, è ancora incompleta. All’appello manca una persona. L’ultimo uomo della strage voluta dai corleonesi e perfezionata dai fratelli Graviano. Chi è e che ruolo ha avuto? Su questo indaga la Procura di Milano. Da oltre un anno, ormai, Ilda Boccassini spulcia atti, compulsa nomi, ascolta le intercettazioni. In calendario, il magistrato ha questo, ma anche la rete milanese dei Graviano: i loro interessi economici soprattutto. Così, in attesa di squadernare i rapporti meneghini dei boss di Brancaccio (arrestati a Milano il 29 gennaio 1994), il fronte criminale va definendosi con l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ultimo uomo del 27 luglio 1993.
Si tratta di Marcello Filippo Tutino, palermitano classe ‘61, fratello di quel Vittorio già condannato per via Palestro e la fallita strage dell’Olimpico. Attualmente, Marcello Tutino si trova in carcere con una condanna a undici anni per traffico d’armi assieme ai padrini della ‘ndrangheta. La vicenda viene raccontata da Gaspare Spatuzza durante due interrogatori davanti al Tribunale di Firenze. Si tratta delle audizioni del 3 e 9 febbraio scorso. Il killer di don Pino Pugliesi conferma di averne parlato più volte con la Boccassini, la quale, iscrivendo Tutino nel registro degli indagati dimostra di credere al mafioso di Brancaccio e di aver trovato i riscontri alle sue parole. E questo, in prospettiva, è un dato da non sottovalutare.
Spatuzza, così, racconta come avviene la pianificazione dell’attentato milanese. Comincia “in un’abitazione di corso dei Mille”, dove partecipano “Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Giovanni Formoso e i fratelli Tutino”. Di più. Il summit “avviene nella casa della suocera di Marcello Tutino, lì abbiamo messo a punto il gruppo che doveva operare su Milano”. Dopodiché il collaboratore di giustizia entra nei particolari: “Marcello Tutino era stato allontanato negli anni Novanta. Non era a pieno titolo inserito in Cosa Nostra ma era vicino alla famiglia di Brancaccio”. Su di lui pesano certe “scorrettezze”. Ecco perché sale al Nord. “Si era trasferito – prosegue Spatuzza – a lavorare a Milano”. Per questo “era una persona che sapeva muoversi su Milano e quindi era utilissimo per la nostra situazione”.
Il racconto dell’ex braccio destro dei Graviano prosegue: “Una volta arrivati a Milano, fuori dalla stazione abbiamo trovato Marcello Tutino”. Con lui, Spatuzza assieme all’artificiere Cosimo Lo Nigro, si reca “in un’abitazione tipo villetta”. Si tratta del cascinale dei Formoso. Cosa succede qui è cosa nota. L’esplosivo viene scaricato. Il particolare ad oggi ancora ignoto è invece la presenza di Marcello Tutino che, tra l’altro, accompagna Spatuzza a rubare l’auto usata come bomba. Di nuovo Spatuzza: “Siamo usciti dalla casa di Formoso, io, Marcello Tutino e Giuliano Francesco, a compiere il furto della Fiat Uno”.
L’auto, infatti, verrà rubata in via Baldinucci poco dopo le 18,30 del 27 luglio. Ma chi c’era su quella Uno in via Palestro? Spatuzza non lo dice esplicitamente. Ma riferisce due dati. L’auto rubata viene consegnata ai fratelli Tutino e a Giovanni Formoso. Dopodiché il pentito colloca il solo Vittorio Tutino a bordo della Uno in via Palestro. Spatuzza, però, non sa dire quale fosse l’obiettivo dell’attentato. Sappiamo che la bomba esplode davanti al Pac. Ma sappiamo anche, e Spatuzza questo lo conferma, che “la macchina si è fermata prima”. Anzi fa di più: “Per certezza posso dire che non è stato centrato l’obiettivo”. L’ipotesi più concreta, sostengono gli investigatori, è che il luogo prescelto fosse il vicino Palazzo dei Giornali di piazza Cavour. Questi i fatti, che in parte aiutano a chiarire una delle stragi più oscure e inquietanti della storia italiana.
da Il Fatto Quotidiano del 24 febbraio 2011