Come a voler sottolineare con un matitone dalla punta grossa e colorata una volta di più come stiamo sbagliando tutto, la sorte ha voluto che a chiudere le due settimane nefaste delle squadre italiane nelle coppe europee fosse un gol di Giuseppe Rossi. Giovane, italiano, nazionale. Peccato che abbia segnato per il Villarreal. Contro il Napoli. Eliminandolo.
Franco Arturi, nella sua analisi di oggi sulla Gazzetta dello Sport, dice bene quando parla di flop venuto da lontano, sistemico, di come “in nessun altro Paese calcisticamente evoluto si gioca in un clima così. Stadi invivibili, violenze striscianti, odi tribali, extraterritorialità delle curve, polemiche arbitrali, costanti, continua produzione di scandali, mancanza di sportività, nessuna coesione e senso collettivo.” Quindi non solo un problema tecnico o tattico. E non solo un problema di giocatori, più o meno buoni, più o meno italiani. Nel dopo-Bosman è giusto e normale che Giuseppe Rossi giochi dove vuole e dove lo apprezzano.
Il gol del talentino del sottomarino giallo serve però per evidenziare un’altra falla gigante nel nostro sistema calcio (e del sistema Italia in generale): la scomparsa dei vivai, la programmazione di lungo periodo nulla e l’inesistente fiducia nei giovani. Però poi ci si spella le mani ad applaudire Barcelona-Arsenal caricando infiniti video su YouTube delle magie di Iniesta, Fabregas e compagni. E chiamando il giorno dopo i procuratori dei citati campioni mettendo sul piatto milioni di euro in un’ottica miope di intendere gli affari e il mercato.
Barcelona e Arsenal sono due delle squadre che giocano il miglior calcio d’Europa, da anni. E la loro forza parte da una programmazione lungimirante e meticolosa. Anche molto diversa tra loro, ma ugualmente incentrata sui giovani e sulla loro formazione e crescita. È storia nota che il Barcelona coltivi i suoi talenti in casa, formandoli, sostenendoli, investendo. Addirittura sette degli undici scesi in campo contro la squadra inglese sono cresciuti nella Cantera (otto se si conta anche l’allenatore, Guardiola, appena quarantenne). Wenger all’Arsenal opta per una strategia diversa. I talenti li va a scovare in giro per il mondo, li prende giovanissimi, li forma a Londra e dà loro fiducia e posto in squadra appena li vede pronti. Di tutto questo, da noi, quello che resta è lo sgomento di chi pensa che i ragazzi siano troppo giovani per andare all’estero. C’è chi grida al rapimento.
Eppure conosco migliaia di ragazzi che giovanissimi si sono trasferiti a Londra per lavorare al McDonald’s e fare esperienza, perchè mai non potrei farlo per giocare nella Premiership?!
di Matteo Fini