“Non c’è salute senza salute mentale”: è il nome di un programma quadriennale del Ministero della Salute inglese. Un progetto che gli psicologi europei considerano “epocale”. E che in Italia, nelle condizioni attuali, sembra fantascienza. Tutto parte da uno studio di economia sanitaria della London School of Economics che analizza i costi-benefici degli interventi psicologici e dimostra come una programmazione basata su investimenti per la prevenzione e la cura dei più diffusi disturbi psicologici riduca drasticamente la spesa sanitaria e incida significativamente sul Pil nazionale.
Anche l’Unione Europea nel 2009 si era messa a fare un po’ di conti, calcolando che l’impatto economico diretto e indiretto del mancato intervento per le diverse forme di disagio psicologico è, udite, udite, di 436 miliardi di euro nel territorio europeo. Una cifra spropositata che dimostra che occuparsi di prevenzione e cura psicologica conviene eccome.
Ilfattoquotidiano.it ha chiesto a Piero Porcelli, psicologo dell’Ospedale “De Bellis” di Castellana Grotte (Ba), qualcosa in più su questo progetto.
In passato si è già interessato allo studio della LSE, cosa può dire di questo progetto che ne consegue?
Il titolo del progetto, “No health without mental health: a cross-government mental health outcomes strategy for people of all ages”, rivela la filosofia di fondo che lo ha ispirato: migliorare la salute a tutte le età significa migliorare la salute mentale. Scopo del programma è il trattamento su larga scala dei disturbi depressivi e della psicopatologia più diffusa in generale. Considerando solo la depressione maggiore (quindi non tutte le forme minori o sotto-soglia, certamente più diffuse), l’OMS stima in oltre 300 milioni le persone nel mondo colpite da depressione (5 milioni in Italia), che sarà la seconda causa di disabilità nei paesi occidentali nel 2030 per l’elevata associazione con molte malattie croniche e letali (dall’infarto del miocardio al diabete).
Qual è l’incidenza economica calcolata dal governo inglese, ad esempio, in relazione alla sola depressione?
In Gran Bretagna il trattamento della depressione pesa l’1.5% del PIL e causa il 40% della disabilità lavorativa (contro l’8%, ad esempio, delle patologie respiratorie). Oltre a quelli diretti, i costi indiretti riguardano un aspetto difficilmente quantificabile ma fondamentale per la vita sociale, economica e produttiva: l’infelicità, la demotivazione, la difficoltà di vivere, che fa elevare la spesa sociale e diminuire la produttività. Ecco perché in Gran Bretagna sono stati gli economisti a occuparsi di depressione: per una persona depressa, un anno senza sintomi costa – stimano gli economisti inglesi – 1000 euro di psicoterapia ma fa guadagnare 8000 euro alla collettività per resa lavorativa. Psicoterapia, non farmaci. Psicoterapeuti, non antidepressivi: 10.000 psicoterapeuti per trattare 800.000 persone, a regime, nel 2013, con uno stanziamento previsto di 800 milioni di euro.
Che impatto sociale si prevede per un progetto del genere?
Potrebbe costituire una svolta epocale per la politica della salute perché sposta decisamente l’asse del trattamento dalla cura delle malattie conclamate alle sue cause psicologiche e sociali, dai farmaci alla psicoterapia, perché impegna il welfare in un cospicuo investimento nell’intervento psicologico. È un modo coraggioso di applicare quel ‘modello bio-psico-sociale’ della salute annunciato da George Engel nel 1977 in un articolo seminale su Science. Inoltre questo evento sta avvenendo nella nostra Europa, a due passi da casa nostra, coinvolge direttamente un numero ampissimo di psicologi, ha un impatto sociale straordinario a molti livelli, in primis sulle casse dello Stato e su cospicui risparmi calcolati a medio-lungo termine, ma è quasi sconosciuto in Italia. Non ne parlano i politici, non ne parlano i media e – cosa piuttosto grave – non ne parlano gli psicologi…
In Italia, siamo ancora molto lontani da questa consapevolezza e da questa razionalità a livello politico-amministrativo che dimostrano di avere gli inglesi (tranne rare eccezioni), siamo lontani cioè dalla comprensione della realtà sociale, ma anche economica, che si intreccia con il disagio psichico e le sue forme di espressione e di cura. Ci piace però ugualmente immaginare che questa notizia possa smuovere qualcosa e che si cominci anche da noi a razionalizzare la spesa sanitaria utilizzando le competenze psicologiche al servizio della comunità.
di Luigi D’Elia e Nicola Piccinini (psicologi e blogger de ilfattoquotidiano.it)