Ahi, ahi, mi scappa di scrivere un post serio, o serioso, che è peggio. Mi scappa di fare il tuttologo-superficial-moralista. Vabbè, chi teme reazioni di tipo allergico, lette queste prime tre righe si fermi e passi a blogger più qualificati. Se invece volete andare avanti cercherò, perlomeno, di essere breve.

Parliamo di soldi. E di responsabilità. E di Libia.

Leggo e sento un po’ ovunque di indignazioni, di prese di posizione, di proteste per quelle che nel migliore dei casi possiamo definire come relazioni internazionali poco attente al rispetto dei diritti civili più elementari tra i cosiddetti paesi democratici sviluppati e quelli ricchi di risorse naturali ma poveri di democrazia. All’onore (o al disonore) della cronaca più attuale la Libia, ma l’elenco di regimi dittatoriali con cui facciamo affari, con o senza cerone e parrucchino, sarebbe drammaticamente lungo. Sacrosanta l’indignazione, dunque, sacrosanto stigmatizzare in special modo il talento tutto particolare di scegliersi le amicizie del nostro premier (sarà una questione di cerone e parrucchino).

Però. Però, con tutti i distinguo del caso, con tutte le eccezioni e le attenuanti, a leggere, per esempio, quanto denaro ha pompato nelle casse di società molto italiane il dittatore libico, e soprattutto in quali e quante casse – citiamone solo alcune: Mediobanca, Eni, Juventus, Finmeccanica, Unicredit – a leggere questi nomi, non sentite anche voi, da lontano, una vocina (vi avevo avvisato che avrei sconfinato nel moralismo…) che ci chiede se per caso, in qualche modo, per qualche verso, anche noi, ciascuno di noi, fornisce un qualche obolo, qualche supporto, anche solo per omissione, per ignavia, per pigrizia, per abitudine, per piccole convenienze, un sostegno anche indiretto a un sistema che si nutre in modo consistente di situazioni come quella che la rivolta libica ha scoperchiato?

Tutto questo giro per concludere con una considerazione nient’affatto originale, ma più che mai attuale: da queste parti si vota sì nelle urne, ma soprattutto si vota con il portafoglio (anche quando è vuoto).

E finirei riprendendo una dichiarazione del portavoce di Social Watch Italia che di recente ci ricordava come con uno sforzo economico ben minore di quello sostenuto in due anni dai governi mondiali per salvare le banche, si potrebbe sconfiggere la povertà a livello planetario, dichiarazione che esordiva con un efficace paradosso: “Se i poveri fossero una banca sarebbero stati salvati.”

E se noi fossimo una banca? Se ciascuno di noi fosse una piccola, scalcagnata banca, a chi deciderebbe di prestare i propri soldi (o di chiederne), con chi sceglierebbe di fare affari ?

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