Non so se qualcuno durante la campagna per le primarie a Torino ha chiesto a Piero Fassino, candidato forte del Pd e di quelli che contano in città e nel paese, che cosa pensa del gran ritorno in Rai, nello spazio che fu di Enzo Biagi, dell’impareggiabile intellettuale smutandatore Giuliano Ferrara.
E magari anche se, in occasione del centocinquantesimo, conferma le valutazioni che ha dato nel 2003 nel suo libro Per passione su due protagonisti della cosiddetta prima repubblica: Enrico Berlinguer e Bettino Craxi, il primo avvertito come un peso da rimuovere, il secondo da includere con tutti gli onori nel Pantheon di famiglia.
Tra i vari motivi “di stupefazione ed amarezza” che elencava Giorgio Bocca nella sua “recensione” del libro sull’ L’Espresso spiccano “il recupero di Bettino Craxi come modello di ciò che si sarebbe voluti essere e non si è stati… e quasi un sentimento di solidarietà contro il complotto dei giudici giustizialisti, quasi un rimorso di non aver sostenuto il leader socialista quando in parlamento faceva la sua chiamata di correo, del ‘tutti colpevoli nessun colpevole’. E come se non bastasse la presa di distanza dal ‘moralista’ Enrico Berlinguer fino alle sbalorditive dichiarazioni di Piero Fassino sul compagno sempre comunista Giuliano Ferrara”.
Infatti a proposito del ventriloquo-consigliere dei momenti difficili, il molto lungimirante Fassino aveva sentenziato che Ferrara era uno dei loro e aveva pronosticato che sarebbe tornato prima o poi nel Pd: chissà, magari fin da allora prefigurava un ipotetico ritorno del figliol prodigo accolto con grandi festeggiamenti, nell’ipotesi che il clown tiranno potesse fare la fine, a cui stiamo assistendo, dei suoi omologhi dell’altra sponda.
Il pezzo di Bocca si chiudeva con una accorata preghiera tanto condivisibile quanto inascoltata, con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti: “Fassino e compagnia: scrivete pure i vostri libri, scoprite pure il riformismo, ma il paragone fra Enrico Berlinguer e Bettino Craxi, questo no”.
Quanto la questione morale lanciata da Berlinguer, forse in modo “tardivo e velleitario” come riconosceva anche Giorgio Bocca, rimanga altamente urticante e scomoda fino a provocare reazioni di puro autolesionismo in casa Pd lo conferma, più a Sud e sempre a proposito di primarie, il caso penoso ed imbarazzante di Napoli. Soprattutto per gli sconcertanti sviluppi dopo il pasticciaccio brutto del 23 gennaio che a distanza di ben cinque settimane si sta avvitando ulteriormente e pericolosamente.
Infatti, dopo la richiesta a gran voce di un candidato integerrimo identificato nel magistrato anticamorra Raffaele Cantone, non disponibile e magari indicato proprio per questo, il Pd ha respinto con sdegno la disponibilità di Luigi De Magistris, con la singolare motivazione “che non si passa direttamente da un’inchiesta alla politica” o che “l’idea di un magistrato a tutti i costi fa apparire la questione criminale prevalente sulla questione civile”. Motivazioni abbastanza curiose se si tiene conto dello stato in cui versa Napoli e se si pensa che Luigi De Magistris, a differenza di Raffaele Cantone, si è dimesso dalla magistratura da ben due anni e fa da allora il parlamentare europeo, dove è stato eletto con un numero eccezionale di preferenze.
Comunque, in nome del primato della politica e per scongiurare qualsiasi sospetto di “cercare rifugio nelle braccia di un magistrato” e di mettere al centro, Dio non voglia, la questione morale, si potrebbe sempre ricominciare dall’inossidabile Bassolino.