Atteso per l'udienza Mediaset, il premier dichiarato contumace: i legali non hanno chiesto il legittimo impedimento. Il processo è stato rinviato all'11 aprile. Ghedini: "Verosimile che Berlusconi sarà in aula". Intanto, giornata a Milano per il Cavaliere. Prima a palazzo Reale e poi in Confcommercio, il premier si sfoga: "Ne ho piene le scatole, ma non posso smettere di fare politica"
“Il 51% degli italiani mi stima, gli altri mi detestano”. Silvio Berlusconi riconosce di aver subìto un crollo di consensi, anche se i sondaggi parlano di ben altri numeri (per Mannheimer appena il 26% oggi confermerebbe il Cavaliere premier). E sa che la direzione è inevitabilmente verso il basso. “Sono deciso ad andare avanti – ha aggiunto – perché non voglio avere il giudizio negativo del 100% degli italiani”. All’Unione dei commercianti di Milano Berlusconi è apparso decisamente provato. Un incontro con i responsabili territoriali organizzato da Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, per la prima volta “chiuso” nell’aula del consiglio e attorniato da ministri e sottosegretari. I fedelissimi. Da Paolo Bonaiuti a Michela Vittoria Brambilla. Poi Daniela Santanchè, Ignazio La Russa, Antonio Fazio, Paolo Romani, Mariastella Gelmini. Tutti seduti sui banchetti in emiciclo, ordinati e composti a rispondere alle domande dei rappresentanti dei commercianti. I pochi cui è stato riconosciuto il privilegio di entrare in sala. Tutti gli altri, per quanto registrati e controllati da uno strettissimo cordone di sicurezza tra Carabinieri e Polizia, relegati in un’aula davanti a un megaschermo.
La giornata milanese di Berlusconi è trascorsa senza contatto con gli elettori. In mattinata, a Palazzo Reale per presentare un’iniziativa del partito insieme a Michela Vittoria Brambilla, non ha stretto mani ed è sfilato via davanti al coretto di “menomale che Silvio c’è” intonato da poche decine di persone. Che comunque hanno applaudito. Premiati con appena una battuta: “Siete così simpatici che vi invito tutti al bunga bunga”. Uscendo, alla stampa ha commentato l’udienza odierna. “In contumacia? Ma io voglio andare, come sempre, voglio andare (al processo Mediaset che si è aperto stamani, ndr) ma sono i miei avvocati che me lo impediscono”. Ghedini, ha aggiunto, “mi ha detto che (quella di stamani, ndr) era una seduta per il posizionamento dell’udienza e quindi non era necessaria la mia presenza”.
Per il resto Berlusconi, sia a Palazzo Reale sia poi all’incontro in Confcommercio, ha ribadito gli slogan e gli attacchi ormai divenuti quasi ripetitivi e logori. Ha parlato di numerosi freni all’attività legislativa e di governo, sia per i lacci imposti dalla Costituzione sia per interventi esterni che non nasconde di considerare a volte indebiti. “Quando il governo decide di fare una legge, questa prima deve passare” dal Quirinale e deve passare il vaglio “di tutto l’enorme staff che circonda” il Capo dello Stato, staff che “interviene puntigliosamente su tutto”, ha spiegato il presidente del Consiglio. E ancora: “Se al Capo dello Stato e al suo staff la legge non piace, questa torna in Parlamento. E se non piace ai giudici la impugnano e la portano alla Corte Costituzionale che la abroga”. Il premier è poi tornato a puntare il dito contro il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e contro i giudici.”C’era un patto di Fini con i magistrati e l’Anm, e tutte le cose che non andavano bene ai magistrati venivano stoppate”, ha detto. Ci sono “i giudici che dicono la loro e altre autorità che intervengono anche se non dovrebbero farlo. Il presidente del Consiglio è imbrigliato e può solo suggerire” e per questo, ha insistito il premier, “serve una riforma” costituzionale che finora “non siamo riusciti a fare perché nemmeno all’interno della nostra maggioranza eravamo riusciti a trovare l’accordo”. E poi le intercettazioni. “Non uso più il telefonino”, ha detto, rilanciando la volontà di stringere il bavaglio.
Berlusconi ha poi ribadito la necessità della riforma della giustizia. “Io sono disperato”. Il processo breve non si fa “perché ci sono i comunisti”. “Un processo in tempi ragionevoli, come più volte richiesto dalla Ue, però siccome ci sono 103 processi su di me la sinistra dice che non si fanno le leggi per Berlusconi. Noi abbiamo ancora i vecchi comunisti”, si è lamentato il premier. “C’è questo Bersani che apre la bocca e vediamo cosa esce, insulti a valanghe. Il loro programma? Ici sulla prima casa, frontiere spalancate così dopo cinque anni fanno votare tutti, poi intercettazioni a go go così i loro amici pm si divertono”.
Gli imprenditori hanno assistito in silenzio all’intervento. Che è però durato pochi minuti con la rassicurazione che andrà avanti. “Perché – ha spiegato – il 51 per cento degli italiani mi stima, gli altri mi detestano. Ne ho piene le scatole, ma sono costretto ad andare avanti”. La Russa è stato sorpreso dalle telecamere a sbadigliare. Il premier se n’è accorto, ha scherzato con Sangalli, come lui milanista e ha salutato. “Carluccio ci vediamo stasera al Milan per battere il Sud (il Napoli, ndr)”. E agli imprenditori ha detto: “Vi auguro di trasformare in realtà tutti i vostri sogni”. Poi a pranzo nel palazzo accanto, senza incontrare nessun esterno alla compagine governativa. “Sogno a occhi aperti di tornare a essere un cittadino normale”, ha detto. Ma non può, perché i cittadini normali si presentano nei tribunali.
Il copione si è poi ripetuto al pranzo con gli eletti del Pdl in Lombardia. Con una parentesi sulle sue più grandi “passioni”, il Milan e i comunisti. Così Berlusconi si è lasciato andare ad uno sfogo: il Milan – ha spiegato tra il serio e il faceto il premier – è stato sempre penalizzato dagli arbitri comunisti che ci hanno tolto due scudetti. Il premier si riferiva probabilmente ad uno scudetto vinto dal Napoli alla fine degli anni 80 (stagione 89-90), dopo uno zero-due a tavolino per una monetina che colpì Alemao. Allora c’erano ancora in campo Gullit, Van Basten, Careca. I grandi del calcio. E i comunisti esistevano per davvero, ma probabilmente avevano cose più serie di cui occuparsi. Ad essere pignoli, poi, ad arbitrare la contestatissima sconfitta con il Verona (2 a 1, tre espulsi nel Milan, due rigori negati) che regalò la testa del campionato al Napoli, fu Rosario Lo Bello, figlio del più famoso Concetto, a sua volta arbitro e poi deputato per quattro legislature. Ma non nel Pci, bensì nella Democrazia Cristiana.
Articolo aggiornato alle 21:00 del 28 febbraio 2011
video di Daniele Martinelli