Il leader libico Gheddafi e “politicamente morto” e “non ha più posto nel mondo civilizzato”: lo ha dichiarato una fonte del Cremlino secondo il quale se ne deve andare. Lo riferisce l’agenzia Interfax. “L’uso della forza militare contro il proprio popolo è inaccettabile. Dmitri Medvedev sin dall’inizio ha valutato in modo negativo le reazioni dei dirigenti della Libia rispetto agli avvenimenti”, ha detto la fonte del Cremlino. Il fatto che la dichiarazione del presidente su quanto stava accadendo in Libia sia arrivata solo alcuni giorni dopo il loro inizio, secondo la stessa fonte, si spiega con “un unico motivo”: l’approccio responsabile verso il destino dei nostri cittadini che si trovavano in quel Paese”.
Stamani, il premier aveva invitato alla cautela “perché la situazione in Libia è in continua evoluzione”. Silvio Berlusconi, in un’intervista a Il Messaggero, è intervenuto sulla questione libica, in particolare, a proposito dell’ipotesi di esilio per Gheddafi, ha garantito che l’Italia sarà “perfettamente in linea con quanto deciderà la comunità internazionale”. Il premier dice di essere “in contatto con tutte le diplomazie europee, altro che isolati e non autorevoli. L’Italia in questa crisi sta facendo e farà la parte che le compete”. E proprio oggi il ministro degli Esteri Franco Frattini ha annunciato che l’Italia “è pronta a sostenere l’opzione che prevede l’uso di basi italiane” nel caso in cui una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite istituisca una no fly zone. Domani il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, sarà ascoltato dalle commissioni riunite Affari costituzionali e Affari esteri sui recenti sviluppi della situazione nel Mediterraneo.
Sul piano diplomatico Berlusconi ha parlato di contatti stretti “con il presidente Obama e con il presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy“. L’Italia, ribadisce il premier, procederà “in stretto contatto con Bruxelles e Washington. Prima di decidere aspettiamo cosa accade a Tripoli”. Il presidente del Consiglio ha anche annunciato una riunione straordinaria del Consiglio europeo per l’11 marzo per delineare una strategia comune europea sulla crisi del paese nordafricano.
Sul tavolo di Bruxelles si dovrà anche parlare di come accogliere le decine di migliaia di migranti in fuga dal Maghreb in fiamme che si riverseranno sulle coste europee. Sull’argomento è intervenuta oggi Laura Boldrini, portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati e i richiedenti asilo: “E’ giusto chiedere all’Europa un maggiore coinvolgimento” nella gestione dei rifugiati, “ma bisogna anche tenere presente che l’impegno dei singoli Paesi europei e’ molto diverso e che l’Italia non e’ certo tra i Paesi più esposti o con il più grande carico. E’ anche una questione di equilibri”. In un’audizione della commissione Diritti umani del Senato la portavoce ha sottolineato come al momento i rifugiati siano “600mila in Germania, 200mila in Francia e 55mila in Italia”. E come l’anno scorso siano state presentate “40mila domande di asilo in Germania, 47mila in Francia e 10mila in Italia”.
Per l’Europa, comunque, “sarebbe stato impossibile intervenire prima”, anche perchè “la situazione in Libia continua ad essere molto confusa”. Ha aggiunto: “Ho parlato con Ban Ki-moon e ho dato il pieno appoggio dell’Italia a qualunque iniziativa. Noi – spiega – abbiamo molti interessi nell’area” e “siamo amici del popolo libico”. Qualunque sarà il nuovo governo, assicura il Cavaliere, resterà “un rapporto stretto con l’Italia, con il suo popolo e le sue imprese”.
Intanto, mentre proseguono gli scontri, Gheddafi è nuovamente intervenuto in un’intervista alla Bbc. “La mia gente è pronta a morire per proteggermi”, ha detto escludendo di poter accettare l’offerta di un salvacondotto e l’esilio come via d’uscita alla crisi. “Mi amano. Tutta la gente è con me. La mia gente morirebbe per proteggermi”, ha detto il colonnello, che ha sorriso davanti all’ipotesi di lasciare il Paese e di rifugiarsi all’estero in risposta alle richieste dell’amministrazione americana.
In Libia insomma si continua a combattere, con i militari fedeli al regime che cercano di guadagnare le posizioni perse nei giorni scorsi. Depositi di munizioni in zone sotto il controllo della rivolta nell’est della Libia sono stati bersagliati da raid aerei condotti da forze del leader Muammar Gheddafi. Lo hanno riferito fonti concordanti a Bengasi. Fra l’altro, un deposito è stato colpito ad Adjabiya, un centinaio di chilometri a sud di Bengasi, ha riferito un testimone al telefono. Un altro attacco è stato sferrato da alcuni elicotteri delle truppe fedeli a Muammar Gheddafi contro la sede della radio della città di Misurata, caduta da alcuni giorni in mano agli insorti. I ribelli hanno reso noto di aver abbattuto un elicottero. Non è chiaro se il velivolo è uno di quelli che avevano partecipato all’attacco. I cinque membri dell’equipaggio sarebbero stati catturati.
L’ex capo dell’intelligence libica all’estero, Bouzid Durda, è stato incaricato da Gheddafi di negoziare con i capi della rivolta. Lo ha riferito la televisione araba al Jazeera. Secondo Ibrahim Moussa, portavoce del governo di Tripoli per la stampa estera, il governo libico ha il controllo su tre delle quattro regioni del Paese, mentre “alcune sacche” di resistenza sono solo in città della Tripolitania come Al Zawiya e Misurata. Moussa ha poi lanciato una minaccia: ”Se gli imperialisti occidentali ci attaccano, ci saranno migliaia di morti. L’Occidente vuole il nostro petrolio, al Qaida vuole invece una base sul Mediterraneo per minacciare l’Europa”.
Alle rivendicazioni del regime ha replicato il segretario di Stato americano Hillary Clinton, ribadendo la volontà degli Stati Uniti di sostenere una transizione irreversibile e fondamentale”. Ha poi invitato il Raìs a “lasciare subito senza ulteriori violenze o rinvii. Gli Stati Uniti continuano a esplorare tutte le opzioni: nulla viene escluso, se il governo libico continua a minacciare e uccidere i cittadini libici”.
Sul fronte del diritto internazionale, il procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja ha annunciato l’apertura di un esame preliminare sulle violenze in Libia, primo passo verso una eventuale inchiesta formale per crimini contro l’umanità.
Continuano nel frattempo le operazioni per evacuare gli stranieri. Dal porto di Al Byraukah, nel golfo della Sirte, è salpato il cacciatorpediniere della marina militare Mimbelli: a bordo 298 persone, in gran parte lavoratori stranieri di una società italiana, tra cui anche 4 italiani del gruppo che era rimasto bloccato senza viveri ad Amal. La nave dovrebbe giungere domani a Catania.
Sul fronte umanitario, la vera emergenza sono le migliaia di persone in fuga dalla Libia. Secondo alcune fonti locali riportate dall’agenzia Ansa, al confine fra Tripolitania e Tunisia sono ammassate cira 40-60mila persone. Altri dati li fornisce l’Alto commissariato Onu per i rifugiati e i richiedenti asilo: sono circa 15mila al giorno le persone che varcano il confine fra i due paesi nordafricani e, secondo l’Unhcr, dall’inizio delle ostilità sono già espatriati verso Tunisi almeno 80mila cittadini. Dati che cozzano con le autorità doganali tunisine che parlano di numeri molto più alti: secondo loro sono infatti 180mila le persone che hanno giù passato la frontiera.
Aggiornato l’1 marzo 2011