Non di rado agli Oscar trionfa la sicurezza. La riconoscibilità e la sicurezza. Niente di stratosferico, perché si parla di quattro statuette su dodici nomination, ma la sostanza dei premi ottenuti da Il discorso del re (film, regia, sceneggiatura originale e attore protagonista) basta per considerare il film di Hooper il trionfatore dell’83ma edizione degli Academy Awards. Strano, ma a quanto sembra è più facile riconoscersi nelle paturnie del magnifico sovrano Colin Firth piuttosto che nel carnevale di invidie e vendette di The Social Network e Il grinta (0 premi su 10 nomination!).

Non si tratta della precisione della messa in scena – il ritorno del glorioso stile britannico, secondo i più – di un film solido come una stoffa inglese e denso come le brume di Londra, piuttosto della sicurezza del racconto, della sua linearità. Il discorso del re inizia da A e arriva a B, come vuole la convenzione. Nel 1981, ad esempio, l’Academy si accorse subito del contenuto marcio e oscuro che nascondeva l’altrettanto efficace inglesità di The Elephant Man, preferendogli in tutte le categorie il meno allarmante e più lacrimoso Gente comune di Redford.

Sicurezza, prima di tutto. Quella che non emergeva certo da 127 ore di Danny Boyle, concettualmente la più estrema delle pellicole in lizza per la statuetta come miglior film, dai deliri del Black Swan di Aronofsky o dal percorso di crescita/vendetta dell’adolescente dei fratelli Coen. E’ quasi un paradosso poi vedere nella stessa categoria Il discorso del re e Inception, pregevolissimo tentativo di sovvertire le convinzioni dello spettatore, vero e proprio atto di sabotaggio giocato ai danni di ogni certezza. Praticamente impossibile da premiare, troppo pericoloso.

Scorrendo gli Oscar assegnati c’è la sensazione che l’Academy abbia voluto trovare una soluzione di compromesso: non c’è stato, infatti, nessun “film pigliatutto”, com’è accaduto in molte delle passate edizioni; decretato vincitore Il discorso del re, Hollywood ha poi proceduto ad assegnare premi di consolazione a quelle pellicole di cui non poteva non riconoscere il valore: da qui i quattro premi tecnici per Inception e i tre di The Social Network.

Criticare gli Oscar e il sistema Hollywood ha poco senso, molto meglio è cercare di capirne i meccanismi. Impresa di certo non facile, considerata la lotta ingaggiata tra il conservatorismo dei giurati e l’ingegno di quei cineasti che riescono a nascondere sotto una quieta e rassicurante scorza feroci apologhi sul Paese e i suoi falsi valori: negli anni passati è il caso del capolavoro Million Dollar Baby o di Non è un paese per vecchi. I grandi film meno premiati di quest’anno, in effetti, avevano il difetto della sincerità, non riuscivano in nessun modo a nascondere i pericolosi meccanismi che li muovevano, tutti troppo chiari su temi troppo urticanti.

L’Oscar più disturbante, in questo senso, è quello di Natalie Portman, premiata per la miglior interpretazione femminile in Black Swan – Il cigno nero. Vero e proprio tour de force insano e trascinante in cui lo splendido corpo dell’attrice si piega alla sofferenza, all’ossessione, alla violenza, alla pazzia della perfezione tecnica in una discesa nel maelström della psiche, in cui c’è spazio anche per una coraggiosa – almeno per gli standard hollywoodiani – scena lesbica. Della grandezza attoriale di Colin Firth, miglior attore protagonista, non c’è che dire, così come dell’opportunità dei due premi agli attori non protagonisti Christian Bale e Melissa Leo, entrambi in The Fighter diretto dal capace David O. Russell.

Un po’ stordito dai corsetti e dalle crinoline, l’impegno sociale che saltuariamente bazzica il palcoscenico del Kodak Theatre di Los Angeles ha fatto capolino nel premio al miglior documentario vinto da Inside Job di Charles Ferguson, un film che cerca di dare un volto e un nome ai colpevoli della crisi finanziaria mondiale. Un’edizione, in definitiva, che ha preferito premiare il film di Hooper piuttosto che il cinema di Fincher.

Tutti i premi:

Miglior Film: Il discorso del re
Miglior attore: Colin Firth in Il discorso del re
Miglior attrice: Natalie Portman in Black Swan
Miglior regia: Tom Hooper, Il discorso del re
Miglior attore non protagonista: Christian Bale in The Fighter
Miglior attrice non protagonista: Melissa Leo in The Fighter
Miglior sceneggiatura originale: David Seidler, Il discorso del re
Miglior sceneggiatura adattata: Aaron Sorkin, The Social Network
Miglior scenografia: Alice in Wonderland, Production Design: Robert Stromberg; Set Decoration: Karen O`Hara)
Miglior direttore della fotografia: Inception, Wally Pfister
Miglior film in lingua straniera: In un mondo migliore
Miglior montaggio: The Social Network, Angus Wall and Kirk Baxter
Migliori effetti visivi: Inception, Paul Franklin, Chris Corbould, Andrew Lockley and Peter Bebb
Miglior documentario – lungometraggio: Inside Job, Charles Ferguson e Audrey Marrs
Miglior cortometraggio: God of Love
Migliori costumi: Alice in Wonderland, Colleen Atwood
Miglior makeup: The Wolfman, Rick Baker e Dave Elsey
Miglior montaggio sonoro: Inception, Richard King
Miglior mixaggio sonoro: Inception, Lora Hirschberg, Gary A. Rizzo e Ed Novick
Miglior cononna sonora: Trent Reznor e Atticus Ross, The Social Network
Miglior canzone originale: “We Belong Together” (Toy Story 3), musica e parole di Randy Newman
Miglior film animato: Toy Story 3
Miglior cortometraggio animato: The Lost Thing, Shaun Tan e Andrew Ruhemann
MIglior cortometraggio: God of Love, Luke Matheny

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