Chi di voi, come me, ha dei figli piccoli o adolescenti, conosce molto bene la scuola pubblica e i suoi insegnanti. Sa quanta dedizione e passione servano per alzarsi ogni mattina con l’obiettivo di mettere in comune e regalare una parte della propria conoscenza per arricchire ogni singolo studente. Quegli insegnati, con quel gesto, fanno qualcosa di grande non solo per quella classe ma per l’Italia tutta. Chi conosce il mondo della scuola pubblica sa bene quanto lo stipendio, per gli insegnanti, sia assolutamente inadeguato a fronte di quello che queste persone fanno per tutti gli studenti, per quelli svegli, per quelli vivaci, per quelli più difficili, per i disabili e anche, e forse soprattutto, per quelli che di scuola, apparentemente, non ne vogliono sentir parlare. Pochi sono quegli insegnanti che fanno questo mestiere per lo stipendio; in quel caso farebbero altro. Molti sono quelli che lo fanno nonostante un posto fisso non ce l’abbiano e forse non ce l’avranno mai: sono “i precari della scuola”, gli “ultimi della classe” li chiamano. Mio padre stesso, che giornalista lo era per hobby, per missione di vita direbbe oggi qualcuno, era un insegnante di educazione tecnica. E nei suoi occhi vedevo la passione senza la quale questo lavoro diventa addirittura dannoso per gli studenti.
Il 26 febbraio scorso quegli insegnanti di cui vi sto parlando, quelli che credono davvero di poter rendere migliore il mondo con la cultura, quelli che sono ancora convinti che la conoscenza sia alla base di una vita dignitosa, tutte quelle donne e quegli uomini, precari e non, sono stati insultati da un premier ormai totalmente fuori controllo. Per il miglior alleato di Gheddafi, che mentre quest’ultimo sterminava gli insorti lui dichiarava “lo lascio lavorare”, per quest’uomo gli insegnanti della scuola pubblica «inculcano idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie».
Parole squallide, volgari e pericolose che tra prostituzione minorile e concussioni rischiano di passare in secondo piano. E che invece, proprio grazie a quegli insegnanti e agli studenti sensibili, stanno scatenando reazioni a catena in tutta Italia. Stanno facendo riscoprire a tutti gli italiani l’orgoglio di avere uno dei migliori sistemi scolastici del mondo (purtroppo soltanto per qualità e non certo per investimenti e strutture).
A me oggi mancano altri discorsi e altre parole sulla scuola pubblica. Manca un grande padre della patria, un partigiano, un resistente che 61 anni fa aveva già tristemente presagito quel che sarebbe potuto accadere e che oggi ha ampiamente visto luce. Quell’uomo era Piero Calamandrei, ed era l’11 febbraio 1950, durante il terzo congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma.
Voglio riportare solo alcuni passi per “rinfrescare” queste parole che dovrebbero essere scolpite dinnanzi ad ogni scuola, ad ogni istituto d’istruzione, affinchè non si dimentichi mai che già i padri costituenti temevano per la salute e per la libertà della nostra scuola e che hanno lasciato a noi il compito di difenderla e vigilare su di essa quotidianamente.
“Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito”.
“ […] Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato”.
“ […] Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. […] L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico”.
E’ per queste parole, per questi concetti che io voglio difendere la mia scuola pubblica, la nostra scuola, dalle mire eversive di un uomo non folle ma lucidissimo che ha compreso che, dopo aver assoggettato i media, l’ultimo baluardo all’uniformazione dei cervelli è la scuola pubblica. Vorrebbe solo scuole private che rispondessero non all’etica degli insegnanti ma agli sponsor e ai finanziatori.
E’ per queste parole che io non posso che stare con orgoglio dalla parte dei docenti delle scuole pubbliche e non lascerò che questo degno erede del Ventennio porti a compimento il suo progetto di distruzione di massa delle menti dei nostri giovani.