Società

Perché sono entusiasta<br>dei social media

Questa mattina ho risposto alle domande di una studentessa che sta completando una tesi di laurea. Una, in particolare, mi ha colpito.

“La televisione è spesso accusata di ‘rinchiudere’ le persone in casa, trasformando le persone in spettatori piuttosto che in cittadinanza attiva; la stessa critica ora comincia ad essere rivolta verso i social network accusati di essere strumenti che spingono i giovani a comunicare attraverso un filtro e sminuendo l’importanza del contatto personale. In questo senso ritiene credibile definire internet pericoloso per la democrazia?”

Le ho risposto e ho pensato che sia il caso di scrivere la risposta anche qui. La domanda è assolutamente pertinente ed è perfetta per una ricerca sui mezzi di comunicazione. Rappresenta infatti l’opinione di un pezzo consistente dell’opinione pubblica, in particolare di chi non ha mai utilizzato i nuovi media e di chi si rivela perennemente preoccupato delle capacità sociali dei “giovani”, come se fossimo dei mostri a tre teste dotati di scarso intelletto e alta predisposizione alla sociopatia, come se gli adulti non fossero mai stati “giovani” a loro volta e non abbiano avuto paure, speranze, momenti di solitudine cercata e momento di disperata ricerca di compagnia.

I social media non sminuiscono l’importanza del contatto personale. Nient’affatto. Anzi, lo esaltano. I social media, se usati senza abusi (come tutti gli strumenti e le opportunità di questo mondo), sono facilitatori di relazioni come non era mai accaduto prima. Permettono di essere contemporaneamente in più luoghi, più spazi, più dimensioni, più posizioni gerarchiche, con più livelli di coinvolgimento possibili. E permettono anche l’esatto contrario.

Posso fare politica senza andare alle riunioni (perché, magari, lavoro), posso aiutare il mondo scrivendo su Wikipedia, posso mettere in rete persone che hanno bisogno l’uno dell’altra, posso seguire flussi di informazioni provenienti da fonti e latitudini differenti, posso studiare, posso sapere. Oppure no. Posso fare quello che mi pare. Insomma, posso scegliere.

Questo è il punto che raramente viene colto dagli “apocalittici”: pare che i nuovi media possano radere al suolo ciò che c’era prima. Una storia che abbiamo già sentito mille volte: la tv doveva uccidere la radio, Internet doveva uccidere la carta stampata. Non è successo, non succederà mai. L’unica novità è ampliamento delle possibilità di scelta, e dunque del livello qualitativo medio dell’offerta. Poi c’è chi non vuole scegliere e resterà comodamente seduto a guardare la TV o a comprare sempre il solito quotidiano, guardando con sospetto chi ha sempre gli occhi su uno schermo (come il sottoscritto).

Non metto in dubbio che Facebook possa essere un agente di cambiamento antropologico, che Twitter possa essere più autorevole della somma dei principali quotidiani nazionali come strumento di reperimento di informazioni sulla crisi politica nel Maghreb, che leggere le vicende private dei miei amici possa essere ben più affascinante di restare a guardare le fiction, che seguire Sanremo, Ballarò, AnnoZero, la Serie A dagli aggiornamenti della Rete sia anche meglio che stare davanti alla TV. Ma questo è un problema o un’opportunità?

Io sono entusiasta dei social media perché posso scegliere. Anche di non avere alcun contatto personale nel luogo dove vivo preferendo ai miei conoscenti qualche geniale interlocutore che sta in capo al mondo.

Se sto bene così, sono un disadattato, o piuttosto i “giovani” prima andavano in piazza perché non avevano meglio da fare e adesso non ci vanno più perchè la banda larga ci rende la vita molto migliore e non abbiamo la minima voglia di perdere tempo con persone che non ci interessano, con programmi televisivi che ci annoiano, con brani musicali che ci fanno schifo, con giornali schierati e incapaci di analisi?

Cara tesista, Internet non è pericoloso per la democrazia. Il pericolo è percepito dai potentati di qualsiasi natura: politici, economici, di potere, di posizione. Il Maghreb insegna, l’Iran e la Cina anche. L’Italia, per certi versi, pure.

Cari lettori, fateci caso: chi è che dice che Facebook è pericoloso? Di certo non voi.