Non ha potuto presentarsi davanti ai giudici del processo Mediaset, il primo impegno giudiziario del mese di febbraio perché “i suoi legali glielo hanno impedito” mentre lui ovviamente non si teneva per la voglia incontenibile di esserci e così è ritornato formalmente un “contumace”, e cioè un imputato che in modo ingiustificato non presenzia alle udienze.
Anche se di questo processo, ripreso dopo che la Corte Costituzionale gli ha in buona parte rotto il giocattolo del legittimo impedimento autocertificato, al nostro presidente del Consiglio pluri- imputato interessa relativamente poco perché la prescrizione dovrebbe arrivare nel 2012, i suoi legali si sono affannati a garantire che “è verosimile che il presidente si presenterà in aula il prossimo 11 aprile”.
Naturalmente l’udienza del processo in cui Berlusconi è imputato di frode fiscale insieme a due imputati eccellenti, il presidente Confalonieri e il figlio Piersilvio, riprende dal punto in cui si era bloccato lo scorso 19 aprile.
E riparte la lotta contro il tempo per cercare di garantire “la ragionevole durata del processo”, il principio costituzionalmente garantito a cui ha voluto richiamarsi il presidente Edoardo D’Avossa, un obiettivo irrinunciabile di cui gli onorevoli avvocati si riempiono la bocca in Parlamento e che sabotano tenacemente in udienza allungando a dismisura la lista dei testimoni della difesa ed opponendo ogni cavillo procedurale all’acquisizione delle rogatorie, in vista dell’agognata prescrizione.
Infatti la prescrizione rimane la stella polare degli interventi legislativi di breve periodo: dopo la mitica ex-Cirielli, da cui si è dissociato persino il suo promotore, c’è in cantiere insieme al processo breve, la Cirielli-bis una nuova, ulteriore riduzione dei tempi di prescrizione, ovviamente sempre per gli incensurati, e lui grazie alla legislazione personalizzata degli ultimi quindici anni, incredibilmente lo è.
Come ha puntualmente sottolineato Dino Martirano sul Corriere: “Riforme, intercettazioni e anche l’immunità parlamentare, rilanciata da Giuliano Ferrara su Il Giornale, dovrebbero costituire l’armamento strategico di pressione che consente al Pdl di portare subito a casa la prescrizione breve”.
Contemporaneamente, sul fronte più caldo e più temuto, il Rubygate, è partita l’offensiva annunciata per mano dei capogruppo Pdl a Montecitorio: il conflitto di attribuzioni tra poteri dello stato con lo scopo evidente di impedire che Berlusconi sia giudicato dai suoi giudici naturali prima dell’estate come consentirebbe il giudizio immediato. Poco importa che le motivazioni addotte, su cui si è fondata anche la restituzione degli atti a Milano in merito alla richiesta di perquisizione degli uffici del ragioniere pagatore Spinelli, oltre che in conflitto con la giurisprudenza costituzionale siano anche e soprattutto in contrasto con la ragione, l’evidenza, il senso comune. L’assunto che Berlusconi abbia agito nell’esercizio delle sue funzioni, ipotesi plausibile se l’intervento fosse stato del ministro dell’Interno, quando si attaccò da Parigi al telefono della questura di Milano mosso dal nobile fine di scongiurare tensioni internazionali con l’Egitto è naturalmente strumentale a spostare il procedimento davanti al Tribunale dei ministri previa autorizzazione degli “eletti” suoi pari, e cioè gli unici che dal 2003 Berlusconi riconosce come suoi giudici naturali. Ora ne deve essere più che mai convinto dato che in Parlamento ce li ha messi lui o li ha reclutati con adeguata generosità sul campo.
E’ molto divertente che nella fatidica notte in questura a Milano, quando hanno aleggiato per poco, ovviamente, le voci sulla sua altolocata parentela egiziana, la prima a riderci sopra fosse la diretta interessata che si domandava stupita: “Ma chi potrebbe crederci?”
Non poteva immaginare nemmeno la scafata Karima, almeno prima dell’intervista con il guru Signorini, che in quello che fu il bel paese e la culla della civiltà giuridica, la maggioranza parlamentare del suo munifico amico sulla base di una simile bufala si sarebbe inventata un conflitto di attribuzione nei confronti dei magistrati di Milano, peraltro riguardo una materia, la giurisdizione, su cui dovrebbe pronunciarsi non la Consulta ma la Corte di Cassazione.