L’obiettivo è quello di svelare i dettagli tuttora misteriosi di quegli oltre 300 miliardi di fardello pubblico che pesano sul futuro dei cittadini. Significativi i richiami all’Ecuador, primo Paese al mondo a dichiarare illegittimo parte del suo debito
Nel giorno in cui l’agenzia di rating Standard&Poor’s conferma il “creditwatch negativo” sui conti di Atene in attesa di conoscere nel dettaglio le decisioni definitive sul Patto di stabilità europeo, l’iniziativa dei 200 prova a bypassare le consolidate linee guida del dibattito nel tentativo, lodevole va detto, di puntare dritto al cuore del problema. L’idea è tutto sommato semplice: istituire una commissione di esperti – economisti, legali, sindacalisti e altri ancora – capace di districarsi nell’apparentemente inaccessibile giungla del debito ellenico. Una foresta fatta di prestiti, garanzie, finanziamenti e derivati. Un intreccio inestricabile, insomma, che lega oggi i destini tanto del settore pubblico quanto del comparto privato. Scaricando i costi sui cittadini greci.
Nel 2009 il debito pubblico di Atene valeva 299 miliardi di euro, una cifra equivalente a circa il 127% del Pil. Quest’anno la cifra dovrebbe toccare i 362 miliardi spingendo il rapporto a quota 159%. Un punto di arrivo di un deterioramento contabile che l’ipotetica Debt Audit Commission si propone ora di chiarire nei dettagli. Scrivendo una storia che finora, nella sua completezza, nessuno ha mai saputo raccontare e suggerendo, nel contempo, strategie di gestione del debito che riguardino anche quelle componenti “illegali, illegittime oppure odiose”. “La Grecia è stata all’avanguardia dei programmi di salvataggio della Ue – spiegano i promotori – ma il popolo greco è stato tenuto all’oscuro riguardo alla composizione e ai dettagli del debito”. Niente di più vero anche se, in realtà, l’affermazione appare incompleta visto che la condizione di “ignoranza” non si è storicamente limitata ai cittadini ellenici. Interessando al contrario gli stessi vertici di Eurolandia.
La storia è nota, ma vale ugualmente la pena ricordarla. Nel 2002 la Grecia entrò a far parte del club dell’euro ma, in realtà, non ne avrebbe avuto alcun diritto. I suoi conti, letti in un linguaggio comprensibile, non erano infatti in linea con i parametri imposti da Maastrich. Solo che, invece di rimandare l’abbandono della valuta nazionale, i regolatori greci pensarono bene di mentire. L’operazione fu resa possibile dai creativi della banca d’affari Usa Goldman Sachs che, nell’occasione, misero sul piatto alcuni degli strumenti derivati più complessi al mondo: i famigerati cross-currency swaps. Con questo sistema la Grecia riuscì nell’impresa di convertire in euro le proprie obbligazioni in dollari e yen. Il tutto a tassi fittizi, ovviamente, così da garantire un credito maggiore rispetto a quello reale. Il bello dell’operazione, che generò ingenti commissioni a Goldman, stava ovviamente negli effetti ritardati: quando i derivati scadono le obbligazioni vanno infatti riconvertite. Deteriorando ulteriormente la contabilità.
L’appello per una commissione d’indagine sul debito non cita apertamente Goldman e la sua operazione. Ma lascia la porta aperta a possibili contese legali A titolo di esempio, i promotori dell’iniziativa citano infatti l’inchiesta ufficiale condotta nel 2008 in Ecuador i cui risultati indussero il presidente Rafael Correa a dichiarare illegittima una parte del debito contratto dal suo Paese nel corso degli anni. Una decisione storica che segnava allora un clamoroso precedente. Chissà che per Grecia e Irlanda (il rappresentante di Afri Andy Storey ha ipotizzato l’istituzione di una commissione d’inchiesta anche a Dublino) non arrivi presto o tardi l’occasione di stracciare in nome della legittimità parte delle obbligazioni collocate negli anni sul mercato. Sempre che la decisione non venga imposta prima dal default vero e proprio.