Il potere invisibile di B. Nel senso di Bisignani, non Berlusconi. Una sorta di B2, che suona bene perché il cinquantasettenne Luigi Bisignani detto Gigi nella Prima Repubblica aveva la tessera numero 1689 della loggia P2 del Venerabile Licio Gelli. Allora, Bisignani era un giovane andreottiano che bruciava le tappe. Giornalista promettente dell’Ansa entra nel Palazzo come capoufficio stampa di un ministro democristiano, Gaetano Stammati. La sua rete politica si estende all’industria e alla finanza. Collabora con Raul Gardini e la Ferruzzi. Conosce Cesare Geronzi. Ma l’ancièn regime del pentapartito finisce male anche per il potente Bisignani. Latitante e arrestato due volte per la maxi-tangente Enimont transitata sui conti vaticani dello Ior.
Fin qui la sua prima vita. Per la seconda, un velo è alzato nel luglio del 2008 da un’intervista a Repubblica di Giuliano Tavaroli, l’ex capo della security di Telecom accusato di dossieraggio illecito. Tavaroli parla dei suoi rapporti romani e dice: “Mi immagino una piramide. Al vertice superiore Berlusconi. Dentro la piramide, l’uno stretto all’altro, a diversi livelli d’influenza, Gianni Letta, Luigi Bisignani, Scaroni, Cossiga, Pollari. È il network che, per quel che so, accredita Berlusconi presso l’amministrazione americana. Io non esito a definire questa lobby un network eversivo che agisce senza alcuna trasparenza e controllo. Mi resi conto subito che quella lobby di dinosauri custodiva segreti (gli illeciti del passato e del presente) e li creava”.
Attenzione alle date. Nel 2008 ancora non sono esplosi gli scandali sessuali del Caimano. La situazione si ribalta del tutto nella primavera successiva del 2009. Il Cavaliere va a Casoria alla festa di compleanno di Noemi Letizia. Gianni Letta confida ai suoi amici, sconsolato: “Uno statista non può andare a una festa a Casoria”. Nell’inner circle del premier inizia l’era delle congiure per un’eventuale transizione di emergenza. A scontrarsi sono due filiere di poteri forti. Una è quella descritta da Tavaroli, con Letta e Bisignani, l’Eni di Scaroni, i Servizi. Custodire segreti. Oppure crearli. Qualcuno la chiama la “Ditta”. Nei palazzi romani il nome più sussurrato è quello di Bisignani, ufficialmente solo un stampatore con studio a piazza Mignanelli. Il leghista Roberto Calderoli aggiunge un altro tassello, quando si sfoga per il ministero breve del suo amico Aldo Brancher, a suo dire vittima di un linciaggio mediatico: “Certi poteri forti giudicano male la politica che decide senza il loro permesso. E il Corriere della Sera è il terminale di queste manovre”. Ed è proprio il quotidiano di Ferruccio de Bortoli, esattamente un anno fa, a essere protagonista di un giallo. Un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul “Pdl partito fantasma” viene tolto dalla pagina e poi ripubblicato il giorno dopo per stroncare sospetti. A sorpresa, Della Loggia istituzionalizza lo scontro in atto: “È dalla famigerata notte di Casoria, che le maggiori insidie vengono a Berlusconi e al suo governo non già dall’opposizione ma proprio dalla sua stessa parte, se non addirittura dalle stesse cerchie a lui più vicine. Dalla primavera dell’anno scorso si stanno ordendo a ripetizione intrighi, organizzando giochi e delazioni, quando non vere e proprie congiure (non mi riferisco certo all’azione del presidente Fini, il quale, invece, si è sempre mosso allo scoperto), allo scopo di trovarsi pronti, con i collegamenti giusti, quando sarà giunto il momento, da molti dei cortigiani giudicato imminente, in cui l’Augusto sarà costretto in un modo o nell’altro a lasciare il potere”. Avversario della “Ditta” di Letta e Bisignani è il cartello di Giulio Tremonti, che ha buoni rapporti con la Lega ma fa sponda con il finanziere bianco Giovanni Bazoli per arginare dentro Rcs Cesare Geronzi, incluso nella filiera romana.
I due fronti si danno battaglia su tutto: dalla potenziale transizione alla gestione corrente di nomine e appalti. La “Ditta” è bersagliata da più parti. Letta viene azzoppato dalle inchieste sulla cricca di Bertolaso e Anemone, anche se non usciranno mai le temute intercettazioni sul suo conto. Prima ancora viene accusato dai falchi del Pdl sulle falle nella rete di sicurezza delle residenze del premier. Ma tocca ancora al leghista Calderoli sparare un nuovo attacco sulle congiure della “Ditta” ed evocare le elezioni anticipate per sventarle: “Quando i leader di una maggioranza lo decidono si va alle urne. E così si dà una lezione ai viscidoni che anche all’interno del governo mantengono ambigue connivenze coi poteri forti. Ce n’è uno in particolare, ma non è il solo, ce ne sono dieci-venti che hanno la coscienza sporca. Chi deve capire capisce. Ma stia certo il Gran Visir dei poteri forti: non l’avrà vinta”. Il ministro Brunetta gli dà manforte e arriva a parlare di “élite di merda che preparano un colpo di Stato”. Lo stesso Berlusconi fa riferimento a “un’entità esterna” che lavora contro il governo. Qualche giorno dopo, sarà il suo fedele Confalonieri a dare l’interpretazione autentica: “Ovunque l’opposizione tenta di far cadere i governi; la differenza è che in Italia l’opposizione non la fanno i partiti di sinistra, che sono messi malissimo, ma una parte dell’establishment”.
Non solo: come riportato dall’Espresso, il Cavaliere definisce così Bisignani: “Oggi è l’uomo più potente in circolazione. Più potente di me”. Il versante più torbido della “Ditta” sarebbe però un altro ancora: per una fase Bisignani è vicino, attraverso la zarina berlusconiana Daniela Santanchè, al Giornale di Feltri e Sallusti nel momento in cui il quotidiano è accusato di essere una macchina del fango. Custodire segreti oppure crearli. Primo step: il caso “Boffo-Avvenire”, che in realtà serve a cuocere lento il Cavaliere perché gli brucia i rapporti con la Chiesa, già precari per il bunga bunga. Quando è il turno di Fini con la casa di Montecarlo, sono i colonnelli di Fli a dare addosso a Bisignani, come “il braccio destro operativo di Gianni Letta, l’uomo delle nomine delicate, che governa nelle informazioni più sensibili il sito di Dagospia, sostenuto dai finanziamenti di Eni ed Enel”. Oggi nell’inner circle del Caimano i due fronti litigano per un succoso pacchetto di nomine, funzionale al fatidico dopo Berlusconi. Nella battaglia finale qualcosa è cambiato: Bisignani e Santanchè hanno rotto, il “Corriere” appare riposizionato su Tremonti e dà spazio all’inchiesta sulla P4. E nella “Ditta” si guarda con interesse alle inchieste sugli uomini più legati al ministro dell’Economia, come Marco Milanese.
di Fabrizio d’Esposito
da Il Fatto Quotidiano del 5 marzo 2011