Sino a qualche settimana fa, l’opposizione si opponeva alle elezioni anticipate (temendo di perderle) e Berlusconi le pretendeva (“il popolo sovrano!”); in questi giorni, dopo la sconfitta parlamentare e i nuovi sondaggi post-Ruby (Papi in calo), le elezioni le vogliono tutte le opposizioni e vi si oppone invece Berlusconi (“stabilità e difesa dell’economia”). Quando poi la sinistra va in piazza contro il governo-Berlusconi, il premier minimizza; analogamente, se in piazza si contesta l’inadeguatezza e gli inciuci della sinistra, c’è D’Alema che dice cose tipo: “Non si governa un Paese con i girotondi“. Se il centrodestra tenta di cambiare a colpi di maggioranza la Costituzione, si alzano alte grida di dolore per la “condivisione tradita”, e poi capita che sia il centrosinistra a cambiarla con una risicata maggioranza. E infine: nel 1997 l’election-day fu negato dal governo-Prodi, mentre oggi il centrosinistra, insieme a Udc e finiani, grida allo scandalo perché il governo-Berlusconi ha negato per il 15-16 maggio l’accorpamento delle elezioni amministrative (per il rinnovo di 11 consigli provinciali e 1.311 amministrazioni comunali, comprese Milano, Bologna, Torino e Napoli) ai quattro referendum su centrali nucleari, privatizzazione dell’acqua e legittimo impedimento.
Tutto questo non è un gran bel vedere, testimoniando del prevalente interesse che le nostre forze politiche tradizionalmente mostrano per i propri interessi (non solo elettorali) a scapito del bene comune e del corpus di regole condivise sulle quali soltanto si può reggere una stabile democrazia. Sia chiaro, c’è anche una questione di misura: una cosa è l’opportunismo e altra cosa è il cinismo; c’è il calcolo dei politicanti e ci sono invece forze ed esponenti politici – la Lega e Berlusconi – per i quali mettersi sotto i piedi il bene comune e le regole è elemento primario, connotativo e vitale. In tutti i modi, la deteriore tendenza a piegare ai propri interessi elettorali (e di potere) modi, forme e regole della vita istituzionale – peraltro elastiche per definizione, inevitabilmente e per qualche aspetto virtuosamente – è uno dei più antichi e radicati vizi della politica nazionale.
Per cui, è comprensibile che le opposizioni volessero utilizzare il volano della partecipazione elettorale amministrativa per fare scattare il quorum necessario alla validità dei referendum (abrogativi di decisioni governative e contro Berlusconi), così com’è comprensibile che il governo e Berlusconi abbiano deciso altrimenti. Il contrasto è politico. Chi dà giudizi nettamente negativi su quelle decisioni e sui comportamenti del premier (e sul suo sistematico uso della politica a fini giudiziari), ha tutte le ragioni per protestare e per recriminare sul mancato accorpamento come una mancata occasione per dare un colpo al governo più anti-popolare e al presidente del Consiglio più amorale, autoritario ed eversivo che abbia mai avuto la Repubblica Italiana.
Ma le reazioni di Pd, Idv, Fli, Udc e Sel, e degli stessi comitati promotori dei referendum, hanno insistito e insistono su argomenti che possono essere rovesciati come guanti. ”Il governo ha paura del voto degli italiani. Il ministro Maroni vuole far votare i referendum il 12 giugno, a scuole chiuse, per evitare il quorum”, sostiene il Comitato referendario Acqua bene comune. ”Si fa questo per impedire di far raggiungere il quorum al referendum sul legittimo impedimento“. Certo, è così: ma è anche vero che, da parte degli anti-governativi, si voleva l’accorpamento per raggiungere il quorum attraverso il voto amministrativo. ‘‘Così si buttano dalla finestra 300 milioni di euro, in un momento di grave crisi per le imprese e le famiglie italiane”. Siamo sicuri che – se l’accorpamento fosse andato a vantaggio di referendum berlusconiani – Bersani, Di Pietro, Fini, Casini e Vendola non avrebbero sostenuto che la spesa di 300 milioni (o di 50, come dice Maroni) non è tale da fare passare in second’ordine problemi vitali per il Paese (come ad esempio le centrali nucleari e l’acqua) e per la stessa democrazia (come ad esempio il legittimo impedimento)? Per Bersani, ”è una vergogna che per ostacolare il referendum sul legittimo impedimento si vada ad una data prossima ad andare al mare!”. In realtà la legge stabilisce che le consultazioni referendarie possono svolgersi in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno, e la scelta del 12 adottata dal governo rientra nella norma.
E’ appena il caso di aggiungere che, in effetti – a prescindere dai legittimi interessi politici in campo (e dalle individuali militanze e simpatie politiche) – mettere insieme i referendum e le amministrative è oggettivamente a detrimento degli uni e delle altre. Già quattro referendum insieme sono una forzatura, che di fatto impedisce un approfondito dibattito su tre temi straordinari per delicatezza e complessità. L’accorpamento, poi, induce di fatto a mescolanze e confusioni, fra tematiche di altissima valenza economica, culturale e politica, e la scelta degli uomini più adatti a fare il consigliere comunale o provinciale o il sindaco.
In conclusione, se già l’eventuale accorpamento fra elezioni parlamentari ed elezioni regionali hanno un minimo di giustificazione (sono due livelli legislativi) ed anche qualche seria, intuibile controindicazione, appare già improprio e sbagliato accorpare amministrative e “legislative”. Figuriamoci quattro referendum. E giacché ci siamo, va detto che non promuove e non consente una corretta rilevazione della volontà popolare – come è risultato abbondantemente chiaro in passato – nemmeno una votazione multi-referendaria. Una pratica che ha, come è stato detto più volte, svilito e prosciugato della sua portata democratica l’istituto del referendum.