Il giorno dopo le nostre riprese serali con la videocamera tra i manifestanti in piazza Kasba, torno a vedere come si chiude il presidio, dopo due settimane ininterrotte. Sofian mi riconosce – del resto di giornalisti europei ce ne sono pochissimi – e parla con aria ispirata e commossa: “E’ una giornata storica anche questa. La piazza che era dei palazzi del governo ora è la piazza del popolo. Il 14 gennaio lo sanno tutti, abbiamo cacciato il dittatore, ma adesso abbiamo cacciato la dittatura”. La “giornata storica” si è svolta tranquillamente tra il giovedì sera 2 marzo col discorso del Presidente provvisorio e il venerdì pomeriggio 3 marzo con qualche migliaio di manifestanti festosi sotto la pioggerellina in piazza. Nella capitale tutto ha funzionato regolarmente, i mercati erano affollati, dalle moschee nessuno è uscito manifestando. A una settimana dagli assalti di matrice poco chiara che hanno sconvolto il centro e provocato 5 vittime, la vigilanza di soldati e poliziotti nella centrale Avenue Bourguiba – non senza qualche scenografico carro armato e rotolone di filo spinato – sembrava non turbare più nessuno. La svolta che ha portato persino i “kasbisti” – che adorano manifestare e inventare sempre nuovi slogan cantati – a decidere di tornare a casa è la scelta del percorso istituzionale che il Presidente provvisorio ha annunciato, sotto la pressione di queste ultime settimane: si eleggerà un’assemblea costituente, non un nuovo presidente. Non si voterà tra poche settimane, ma il 24 luglio, in modo che ci sia il tempo per preparare opzioni politiche vere.

Sembrano tecnicismi per costituzionalisti, ma sono cose sostanziali per quelle centinaia di migliaia di persone che stanno seguendo il processo politico e che lo vivono come la strada per la libertà.

Non si tratta di cacciare, dopo Ben Ali, i suoi collaboratori fino a trovare un nuovo plenipotenziario padre della patria. Quella che nasce – lo dice il moderato giornale La Presse come lo dicono i ragazzi saltellanti a piazza Kasba – è una seconda Repubblica che non vuole più essere presidenzialista. Anche se è presto per dire come sarà perché la nuova Costituzione sarà elaborata dopo il 24 luglio. E’ curioso sentire tanta gente che entra nel merito della differenza tra il sistema francese-americano, considerato negativo, e quello tedesco o italiano considerati positivi. (A parte i giudizi su Berlusconi).

A fare da contraltare al movimentismo intenso e alla ubriacatura democratica di piazza Kasba, c’è stato in questi giorni il presidio detto “della Kobba”, nel prato davanti allo Stadio nel quartiere residenziale di Menzah. Un presidio solo dalle 17 alle 19, e non ininterrotto, perché è il presidio di chi lavora e vuole che tutti lavorino e non passino il tempo a manifestare o peggio ancora a sfasciare vetrine.

No agli scioperi – per la verità finora pochi – no al potere del sindacato Ugtt, ritorno alla normalità, richiesta di stabilità. Queste le parole d’ordine delle migliaia di ben vestiti della Kobba che si sono trovati per reazione alle dimissioni imposte a Gannouci, l’ex collaboratore di Ben Ali che ha gestito il primo governo provvisorio. Poi il presidio per la stabilità ha lasciato da parte il tema Gannouci – che li faceva apparire come difensori del partito Rsd di Ben Ali – e ha insistito sulla necessità di far ripartire il paese, senza contrapporsi troppo frontalmente a quelli della Kasba e alla richiesta di Assemblea Costituente.

A festeggiare sono per il momento soprattutto i Kasbisti (“sciamannati girotondini islamico-comunisti li definirebbe qualcuno da voi” mi dice Walid che ha studiato in Italia). Mi inseguono per farmi partecipare a foto di gruppo con mazzi di fiori e per offrire pane definito “della libertà”. Cantano “se cercheranno di tornare noi ritorneremo”. Le ragazze col foulard e la bandiera tunisina sulle spalle ridono se faccio domande su rischi di islamismo di stato. “Siamo unite, non dev’essere lo Stato a decidere su velo o non velo. Perché invece di preoccuparvi di questo non fate piuttosto anche voi il “Berlusconi degage”? Vedete che funziona..” Questi giovani tunisini si sentono gli apripista di tutta la rivoluzione democratica del mondo arabo. E di fatto finora lo sono stati. I temi della democratizzazione, del parlamentarismo versus presidenzialismo, della dialettica tra ripresa del lavoro e primavera dei diritti, saranno probabilmente analoghi nei paesi che li stanno seguendo.

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