Quando ero un ragazzino, di quanto una svolta più federale avrebbe fatto bene all’Italia non se ne poteva discutere. Ai cattolici non interessava perché  rispondevano al Vaticano. Ai comunisti nemmeno perché rispondevano al Cremlino. Ai fascisti interessava solo menare (me compreso) e credo rispondessero ad un meccanico di nome Otello con un occhio di vetro e la passione per le moto truccate.

Alla fine degli anni Ottanta è arrivata la Lega Nord e ha creato un movimento di popolo su due idee di marketing geniali: “gli stranieri di colore sono cattivi e tolgono lavoro alla gente di qui” e “la Padania prima dell’Unità d’Italia era il paradiso”. Con questa seconda idea, se fossi una zanzara, sarei d’accordo. In ogni caso per altri vent’anni, di federalismo, parlare sul serio, è stato impossibile.

Il nostro è il paese più frammentato d’Europa e forse del mondo. Che cosa ci ha unito? La lingua italiana. Come? Con la scuola pubblica, la musica, la letteratura (il cinema è arrivato più tardi e a teatro si va tutt’ora solo per vedere donne seminude). Poi è arrivato l’asso pigliatutto della televisione e tutti sappiamo cosa è successo. Vogliamo uscirne vivi?

E’ chiaro che per rendere migliore questo paese dobbiamo tenerlo unito usando la forza buona delle sue diversità. Io mi occupo di musica (e un po’ di letteratura). Da sempre sono contrario ad una rappresentazione della musica leggera divisa tra pop (Sanremo, radio commerciali…) e alternativa (praticamente tutto il resto ). E’ una divisione che non porta da nessuna parte. Esiste solo nel cervello, e nel portafogli, di chi se ne occupa nei mezzi di comunicazione.

La musica italiana è come il nostro paese. Ha delle radici locali, regionali, cittadine e poi si sviluppa e si confronta fino ad un livello nazionale. Cresce e fa crescere con le diversità verso un linguaggio comune. Se la visione della musica leggera è distorta a livello nazionale, per sopravvivere, non può che svilupparsi in “basso”. Così succede che mentre è in atto un cambiamento epocale e mondiale nel sistema di produzione, distribuzione e uso di questo prodotto, invece di aggiornarci e cercare proprio quelle radici solide, preferiamo dire che la musica è in crisi. Non è così.

Faccio due esempi. E li faccio parlando di due realtà nelle quali onestamente dichiaro di avere interessi personali e professionali (così in un colpo solo mi distinguo da berlusconiani e veltroniani). Da tre anni lavoro con il cantautore livornese Bobo Rondelli, ho prodotto il suo ultimo disco. In Toscana è più amato di Madonna. Leviamo le ragnatele ai teatri riempiendoli di persone entusiaste di ogni età. I ragazzi suonano le sue canzoni sulle spiagge Tirreniche. Non facciamo in tempo a ristampare i cd che finiscono a ogni concerto. Al livello nazionale questo artista quasi non esiste, come accadeva per il primo Benigni. Nonostante l’aiuto del regista Paolo Virzì che ha girato un documentario su questo preciso argomento.

E’ appena uscito l’ultimo lavoro dei 24grana, gruppo napoletano amato al Sud da decine di migliaia di persone da quasi vent’anni. Il loro editore è tra i più importanti della musica storica napoletana. Il disco precedente era prodotto dal mio amico Daniele Sinigallia, questo nuovo, da Steve Albini, genio del rock mondiale, vedi Nirvana. Al livello nazionale se ne parla poco , come accadeva per il primo Troisi.

Sono solo le realtà regionali a proteggere la nostra musica più coraggiosa, oggi. A distruggere la scuola pubblica ci sta pensando una specie di Minetti con meno seno e gli occhialetti da professoressa. A distruggere la musica leggera ci stiamo pensando un po’ tutti con la nostra distrazione. Sparate pure sul pianista.

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