L’ultima trovata nucleare? Una centrale subacquea. Si chiama Flexblue ed è tutta francese: il primo prototipo dovrebbe essere installato nel mare della Normandia nel 2013 per poi entrare in funzione tre anni dopo. Collocato sul fondale, il mini-reattore sottomarino sarà in grado di inviare sulla costa energia elettrica sufficiente ai bisogni di una città da 100.000 abitanti. La soluzione ideale, dice l’industria atomica transalpina, per Paesi con sbocco sul mare. Protetta dagli abissi marini, la centrale sarà al sicuro da attentati. Già, ma cosa accadrebbe in caso di incidente? Già in allarme gli ambientalisti: Flexblue, accusano, è solo un’improbabile trovata per tentare di rimediare ai ripetuti fallimenti degli Epr, i reattori nucleari francesi di terza generazione, tanto decantati in Italia.
Flexblue è un cilindro lungo 100 metri e largo 15, del peso di circa 12.000 tonnellate. Già oggetto delle attenzioni di Edf e Areva per rilanciare l’immagine della “preminenza nucleare francese” recentemente appannata, l’impianto è frutto di uno studio di due anni, effettuato dalla Dcns, storico gruppo industriale statale (fondato nel 1631 nientemeno che dal cardinale Richelieu), ora specializzato in sistemi di difesa navale. Nel business dell’atomo, vanta un’esperienza quarantennale nella costruzione di sottomarini a propulsione nucleare.
Flexblue è composto da una piccola caldaia nucleare, un gruppo “turbo-alternateur”, un impianto elettrico e vari sistemi ausiliari; avvierà l’elettricità prodotta verso la costa, distante pochi chilometri dall’installazione, attraverso dei cavi sottomarini. Controllato dalla terraferma, va posato sui fondali a una profondità di 60-100 metri. La fabbricazione è prevista nei cantieri Dcns di Cherbourg, in Bassa Normandia, dove la centrale sottomarina potrà fare ritorno per riparazioni e controlli periodici, dopo l’installazione fra due anni del primo prototipo nelle acque che fronteggiano il cantiere. Sia Areva che Dcns sono ottimiste, e prevedono affari d’oro: nel giro di vent’anni, infatti, se ne potrebbero vendere in tutto il mondo circa 200 esemplari.
Per Patrick Boissier, amministratore delegato di Dcns, questo progetto è “un trionfo dell’ingegneria europea”. Magnificati i vantaggi di questi minireattori, a partire da loro costo, che “ammonterà a qualche centinaio di milioni di euro”. Cifre decisamente ridotte rispetto ai cinque miliardi (e più) necessari a costruire una centrale con reattori Epr. Altro punto forte di Flexblue che Boissier ha voluto mettere in risalto è la sicurezza, incrementata grazie alla “protezione naturale del mare”. “La caduta sul posto di un aereo o di un missile – afferma il manager francese – verrebbe frenata dall’acqua, che è pure la migliore barriera contro il propagarsi delle radiazioni”. Nessuna dichiarazione di rilievo invece sulla delicata questione delle scorie. Che, in questo periodo, è al centro di accese polemiche anche nella patria dell’atomo. Scorie che, secondo i detrattori del progetto, non verrebbero prodotte se al largo delle coste francesi, invece di queste mini-centrali atomiche, venissero installati degli impianti eolici.
“Come si può affermare che delle centrali nucleari installate sui fondali marini davanti a Cherbourg o altrove ridurranno i rischi in caso di incidente, e che l’acqua farebbe da barriera tra gli elementi contaminanti e la flora, la fauna e l’uomo?”, si chiede Didier Anger, storico militante anti-nuclearista e membro fondatore dei Verdi francesi: “È risaputo che l’acqua è l’elemento che meglio disperde l’inquinamento sia chimico che radioattivo”. “Tutta la Manica e gli altri mari sarebbero eventualmente distrutti o contaminati, a seconda dell’importanza del sinistro e della dispersione attraverso le correnti”, afferma Anger, ricordando che in caso di incidente si avrebbe un tale riscaldamento delle acque da compromettere per sempre la vita sui fondali marini, causando allo stesso tempo una produzione di vapori tossici che si di diffonderebbero con i venti fino a raggiungere distanze anche molto elevate. E che dire delle difficoltà relative alla riparazione di un guasto verificatosi a 100 metri di profondità?
A rincarare la dose, le affermazioni di Sortir du Nuclèaire: “Attualmente, con del combustibile arricchito al 4%, si ricarica una centrale ogni 18 mesi. Con una centrale sottomarina si dovrebbe “migliorare” il combustibile per avere un intervallo di ricarica dell’ordine di 4 anni. Arricchire maggiormente il combustibile, significa moltiplicare le scorie (uranio impoverito)”, e si chiede: “Come sarà controllata una struttura simile? Come si organizzerà la manutenzione? Che ne faranno delle scorie?”. Una centrale sottomarina, proprio perché installata su bassi fondali in modo da alimentare la costa attraverso dei cavi, sarebbe estremamente sensibile a tempeste ed a correnti marine. Riscalderebbe l’acqua e vi rigetterà radioattività, che si disperderebbe facilmente.
Se per la lobby nucleare francese questo progetto può rilanciare immagine ed affari, gli anti-nuclearisti d’Oltralpe sono impietosi: “Questo progetto di reattore sottomarino non è che un tentativo disperato per far credere che la filiera nucleare ha un futuro, mentre il futuro è nel risparmio energetico, nella sobrietà energetica, nello sviluppo decentralizzato delle rinnovabili, ma non nel nucleare, quale che sia la sua forma”.