L’ombra del ‘Rubygate’ si allunga anche sull’8 marzo italiano, giornata simbolo in tutto il mondo del riscatto femminile in memoria delle 129 operaie della Cotton di New York, che nel 1908 morirono bruciate in un incendio doloso della fabbrica dove scioperavano contro le condizioni in cui erano costrette a lavorare. Quella che nel mondo è una giornata di lotta internazionale a favore delle donne, in Italia diventa un’occasione di divisione politica sullo scandalo che ha coinvolto la diciassettenne Ruby e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Molte donne della sinistra si preparano a scendere in piazza per una nuova edizione del ‘Se non ora quando’ dello scorso 13 febbraio e in difesa della dignità della donna. A Roma, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani terrà una manifestazione in piazza di Pietra dal titolo “Oltre Arcore c’è la dignità dell’Italia” e, dopo, Rosy Bindi e altre donne del partito consegneranno a Palazzo Chigi i dieci milioni di firme per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi. Anche Antonio Di Pietro, leader dell’Idv, si ritroverà in piazza Farnese insieme a giornaliste, scrittrici, testimonial del mondo dello spettacolo, della società civile e del lavoro “per difendere e sostenere tutte le donne che hanno visto calpestata e mortificata la loro dignità, ormai ridotta a mera merce di scambio”.
A Milano l’appuntamento è in piazza dei Mercanti alle 18 con presidio e critical mass organizzati dalla Cgil mentre a Torino alle 16 il Pd distribuirà in piazza Castello bandiere tricolori per ricordare il ruolo femminile a 150 anni dall’Unità d’Italia. A Bologna infine il coordinamento della manifestazione “Se non ora, quando” invita tutte le donne in Piazza Maggiore dalle 18 alle 20 per rinnovare le ragioni della mobilitazione del 13 febbraio.
E un accenno alla cronaca recente si coglie nei dati del rapporto “Le donne nelle istituzioni rappresentative dell’Italia Repubblicana: una ricognizione storica e critica” che oggi sono stati presentati dal presidente della Camera Gianfranco Fini, il ministro della Gioventù Giorgia Meloni, il segretario generale della Cgil Susanna Camusso e il presidente della Fondazione Camera Fausto Bertinotti. Dal documento emerge un quadro sconfortante. In Italia ci sono più donne che uomini, quasi due milioni in più. Eppure, sul fronte della rappresentanza femminile nelle istituzioni, il nostro Paese naviga in fondo alle classifiche ormai da anni. L’Italia, infatti, è al 54esimo posto nel mondo e al 24esimo in Europa quanto a presenza femminile in Parlamento. Ed è, questa, una classifica benevola, almeno se confrontata con quella redatta lo scorso anno dal World Economic Forum, che ci vedeva al 74esimo posto nel mondo su 134 Paesi presi in esame, seguita, tra i Paesi avanzati, solo dal Giappone ma preceduta da Repubblica Dominicana, Vietnam, Ghana, Malawi, Romania e Tanzania. Peggio di noi, a Strasburgo, solo la Polonia, la Repubblica Ceca e Malta (che comunque ha appena 5 parlamentari europei).
La presenza femminile più consistente, dal dopoguerra in poi, nel 1994 con il 14,44 per cento alla Camera e il 9,21 per cento a Palazzo Madama. Prima, però, che entrasse in vigore la norma che impone posti ‘riservati’ alle donne in lista. Oggi, la percentuale delle donne in Parlamento si attesta sul 17 per cento. Il partito che ne ha elette di più è il Pd, con il 30,51 per cento delle senatrici, contro l’8,97 per cento del Pdl, e il 28,7 per cento delle deputate contro il 20 per cento del Pdl. Ma siamo ancora ben lontani dalle eccellenze dei Paesi del Nord Europa: dalla Svezia, ad esempio, dove la percentuale di donne è pari al 45,3 per cento. Quanto al governo, le donne a Palazzo Chigi sono in tutto 12, tra ‘ministre’ e sottosegretari, su un totale di 42 componenti dell’esecutivo, senza contare i 9 che hanno lasciato il governo.
”Non c’è dubbio che il nostro Paese sconti un divario rispetto alla media europea. Divario che aumenta tra il Nord e il Sud: sono molto più numerose le parlamentari provenienti dal Nord che dal Centro-Sud, con l’esclusione del Lazio”, ha sottolineato il presidente della Camera Gianfranco Fini. In politica, ha rimarcato da parte sua Susanna Camusso, segretario della Cgil, bisogna avere una ”rappresentanza paritaria, è questione di democrazia. Democrazia è rappresentanza dei soggetti, se i soggetti sono due vanno rappresentati nella loro misura”. Camusso invita a promuovere il lavoro femminile perché questo ”cambia la qualità della crescita, crea altro lavoro e non ha come unico fine la produzione di merci e consumi ma anche il mantenimento delle relazioni e una straordinaria occasione di democrazia”.
Ma il Pdl alza immediatamente un muro e invita a non confondere i piani e a non fare collegamenti con il ‘Rubygate’. “La dignità della donna non è un concetto di parte, non è di destra o di sinistra – commenta il ministro Stefania Prestigiacomo -. Non credo si possa collegare l’8 marzo a una vicenda che ha invece il segno di grandissima violenza, giudiziaria e non solo, contro Silvio Berlusconi. Tutti hanno capito che dietro c’è un evidente accanimento”. In vista dell’8 marzo, la deputata Pdl Melania Rizzoli provoca: “Non escludo affatto che alcune parlamentari della sinistra siano stata elette dopo essersi concesse sessualmente ai loro capi. La legge con il sistema nominativo esiste anche per la sinistra. E comunque l’8 marzo andrebbe abolito e cancellato dal calendario come festa delle donne, perché frutto di una distinzione di genere”.
Intanto, mentre il Pd Piero Fassino promette che se sarà sindaco a Torino metà della sua giunta sarà rosa, il sottosegretario Daniela Santanchè polemizza con quelle donne che domani “usando la piazza per manifestare contro il premier si faranno strumento di uomini al servizio di una parte politica, mentre si sarebbe potuta usare la ricorrenza tutte unite nel ricordo di Yara e Sara, due giovani donne vittime della violenza”.