La Lega molla il Pdl nelle città non capoluogo e si prepara a correre da sola alle amministrative di maggio. Se a livello nazionale l’arma di ricatto di Bossi per ottenere il federalismo è la richiesta di nuove poltrone e la minaccia di elezioni, sul territorio il Senatur fa pesare i voti della Lega passando allo scontro frontale con il partito di Berlusconi. E, in qualche modo, agevolando il centrosinistra. Lunedì sera il consiglio federale della Lega Nord ha deciso: mani libere, non solo nei comuni sotto i 15mila abitanti, ma anche nelle città più grosse, che non sono capoluogo di provincia. Comuni anche medio-grandi, in alcuni casi oltre i 50mila abitanti.

CORSA SOLITARIA, EFFETTO DOMINO – Una scelta che però rischia di creare un effetto domino. Anzi lo sta già creando. A Varese, per esempio. Il feudo storico della Lega, terra d’origine di Bossi e Maroni, è in subbuglio, perché nel capoluogo, a differenza delle città principali della provincia, la corsa del sindaco uscente Attilio Fontana dovrà essere in coabitazione con il Pdl “per accordi sovra provinciali”. Il segretario cittadino Carlo Piatti non vuole sentire ragioni: “La sezione è compatta nel voler correre da sola”, spiega al quotidiano La Provincia di Varese. “L’umore della base è di sicuro quello della corsa solitaria”. Aggiunge il carico un assessore uscente, Fabio Binelli: “Non si vede perché, se la possibilità di correre da soli è stata data a tutti, debba essere esclusa la sezione più grossa e combattiva della Lombardia”. Insomma, la base leghista, se potesse scegliere, non avrebbe dubbi e mollerebbe il Pdl. Ovunque. E Bossi, questa reazione, non può non averla messa in conto. Forse l’ha addirittura auspicata. Per tutta la giornata di ieri il sindaco Fontana, esponente di spicco del partito, si è chiuso in un secco no comment. Oggi, raggiunto da ilfattoquotidiano.it, non nasconde la sua disponibilità alla “sfida impossibile”: “La base lo chiede, ma queste scelte vengono fatte altrove. Nel movimento ci sono colonnelli e generali. Io sono un sottotenente, eseguo tutti gli ordini”. Ma come valuta la proposta delle sezioni locali? “Essendo un sottotenente – risponde ironico – sono più vicino all’esercito che ai colonnelli”.

IL VETO SU UDC E FLI – L’unico escamotage architettato dai vertici leghisti per passare alle vie di fatto anche nelle città capoluogo è l’ipotesi di tradimento del Popolo della libertà: Bossi ha infatti posto un veto politico su Udc e Fli, colpevoli di ostacolare il federalismo a Roma e quindi non meritevoli di alleanze in comuni e province. Se il Pdl proponesse alleanze anche con i centristi e i finiani, allora l’accordo sovra-provinciale salterebbe. E la Lega sarebbe pronta a lanciare la sfida anche nelle realtà più grosse. La rottura nei territori governati da sindaci leghisti (sostenuti finora da tutto il centrodestra) riporta la memoria a 14 anni fa. 1997. Allora, come nel ’93, la Lega secessionista del periodo post-ribaltone sfidò apertamente Forza Italia. E in molti casi trionfò. Ora Bossi vuole riuscire nell’impresa di far riassaporare agli elettori quello spirito combattivo, associandolo però a una salda alleanza “romana” almeno finché il federalismo non sarà passato. Il Pdl, dal canto suo, non digerisce l’idea delle mani libere padane nei comuni di media dimensione. Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, lo dice chiaramente: “L’alleanza di centrodestra deve vivere in tutti i comuni sopra i 15mila abitanti, per dare continuità tra governo ed enti locali”

IL CASO MILANO – Ma se, come dice Bossi, “l’intesa per le amministrative in linea di massima è stata trovata e si deciderà lista per lista”, è proprio nelle gerarchie del suo partito che il Senatùr deve mettere ordine. Perché il rischio è che la base non veda di buon occhio anche certe imposizioni apparentemente immotivate. Ad esempio l’uscita “a freddo” di ieri, in cui il ministro delle Riforme ha bocciato la candidatura a vicesindaco di Milano di Matteo Salvini. “Non credo proprio”, ha detto il Senatùr sull’eventualità di una candidatura del direttore di radio Padania. E già poche ore dopo i giornali facevano salire le quotazioni di Davide Boni, attualmente presidente del consiglio regionale lombardo. “Pensiamo a vincere”, taglia corto il sindaco Letizia Moratti. Ma perché Bossi ha bocciato senza giri di parole un nome che ha sicuramente un buon bacino elettorale tra i milanesi? Una risposta (che contempla pure una difesa dell’avversario Salvini) prova a darla Barbara Ciabò, esponente finiana e presidente della commissione Casa in Comune: “Bossi – dice a ilfattoquotidiano.it – fa fuori tutti quelli che in futuro potrebbero competere con suo figlio, Renzo Bossi “il Trota”. Sta preparando il campo per lui. Non per questa tornata elettorale, ma per il futuro. Così accompagna alla porta tutti quelli, come Salvini, che sono ben radicati a Milano e che in futuro potrebbero assumere una leadership cittadina”. Secondo Ciabò questa decisione “è frutto di una faida interna alla Lega. Un partito che è fuori dalla democrazia, ha una logica monarchica, esattamente come il Pdl”. Dichiarazioni che forse sono accentuate da un certo astio nei confronti degli ex alleati. Ma che trovano una conferma nel silenzio tombale in cui si è chiuso l’europarlamentare e consigliere comunale Salvini. “Gli elettori leghisti, però – conclude Ciabò – cominciano a non sopportare più le manovre di palazzo e i veti”.

Così la Lega, con la sua strategia equivoca rispetto al Pdl e con quella (meno equivoca) rispetto ai posti di potere all’interno del movimento, rischia di confondere i suoi elettori. E di stancare buona parte dei suoi dirigenti di punta.

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