Il problema riguarda soprattutto gli impianti di trattamento privato, ma anche i depuratori, che al momento sono sprovvisti di sistema di controllo per la registrazione filmata delle targhe degli automezzi, non ci sono le telecamere insomma che, invece, sono installate presso le discariche. In assenza di videosorveglianza il sistema non sarà in grado di segnalare una eventuale targa differente sul rimorchio. E’ proprio presso gli impianti di trattamento privati, attraverso il girobolla, la falsificazione dei certificati, e con la complicità di colletti bianchi e trasportatori sono avvenuti, in questi anni, i traffici più remunerativi per le ecomafie con un fatturato annuo che supera i 20 miliardi di euro.
Il rifiuto viene ripulito solo sulla carta, ma non subisce nessun trattamento, prima di finire nei terreni, in mare o nei fiumi. Nulla vieta, inoltre, l’uso di una stessa targa anche se il problema resta il carico: subisce il trattamento previsto? Realmente viene smaltito regolarmente? Questi quesiti possono trovare risposta solo con verifiche sul campo e non certo seguendo un segnale su un monitor. La ministra sulla secretezza della procedura (ereditata dal precedente governo) di affidamento dell’appalto (c’è un ricorso al Tar delle ditte escluse) ha promesso un intervento in nome della trasparenza. Resta un ultimo problema: il sistema sanzionatorio. In attesa dell’entrata in vigore del Sistri, il vuoto normativo resta, nonostante le rassicurazioni del ministro. I magistrati che da sempre si sono occupati di ecomafia, come Gianfranco Amendola, procuratore capo della Repubblica di Civitavecchia, continuano a manifestare preoccupazione proprio per l’assenza di sanzioni.