sex in the campus

Chissà perché il sesso in mano agli accademici assume istantaneamente un aspetto di fredda necessità animale. Come se la scienza messa al servizio di una delle nostre attività esistenziali più complesse avesse pudore di parlare di quel che si fa a letto, o in automobile, o sdraiati su un prato d’estate sotto le stelle, come di una forma di vita profondamente umana, un’espressione culturale fondamentale che ha influenzato letteratura, pittura, musica e immaginario di tutti i tempi. No, non c’è Cantico dei Cantici che tenga, né Venere di Tiziano che commuova. Per parlare di sesso seriamente è necessario adottare il secco linguaggio della copula, che sembrerebbe riduttivo pure se applicato a una coppia di conigli. Dal celeberrimo rapporto Kinsey, per chi se lo ricorda, del 1948 sul Sexual Behaviour in the Human Male e il successivo del 1953 sul Sexual Behaviour in the Human Female, la pruderie dell’accademico americano richiede una retorica zoo-etologica sugli intercorsi sessuali della nostra specie, come se quel velo di scientismo mondasse l’anima e l’assolvesse da qualsiasi responsabilità per il comportamento osceno del corpo che faticosamente è costretta a portarsi appresso.

Non sfugge alla critica il recente volume dei due sociologi americani Mark Regnerus e Jeremy Uecker: Premarital Sex in America. How Young Americans Meet, Mate and think about Marriage (Oxford University Press 2011): un’informatissima inchiesta sociologica sulle pratiche eterosessuali dei giovani americani di oggi. Il riferimento al mate nel titolo, l’accoppiarsi, il copulare, ricorda lo stile linguistico dell’umano maschio e l’umano femmina del rapporto Kinsey. Ma il modello soggiacente al saggio dei due studiosi americani non è qui la zoologia, bensì l’economia. Ebbene sì: la teoria della scelta razionale, onnipresente nei modelli economici americani, per cui un agente qualsiasi, che sia un ragno, un governo, o una multinazionale, è considerato razionale se massimizza i suoi utili, ossia se cerca di ottenere al costo più basso il beneficio più alto, è approdata anche tra le lenzuola.

La sexual economics è la teoria che modellizza le relazioni eterosessuali a fine sessuale come un mercato in cui le donne vendono e gli uomini comprano. L’articolo di riferimento sull’argomento fu pubblicato nel 2004 da due economisti in una rivista accademica di psicologia con il titolo: Sexual Economics. Sex as a Female Ressource for Social Exchange in Heterosexual Interactions ed è ripresa pari pari dai nostri sociologi.

L’idea regolatrice del libro, il filo teorico che sottende la dettagliata ricerca empirica quantitativa e qualitativa, è che la scarsità di uomini presenti nei campus americani fa sì che sia per loro più facile avere accesso a prestazioni sessuali, e dunque abbassi il “prezzo” che l’uomo deve pagare per ottenerle. Il prezzo da pagare per l’uomo secondo la sexual economics è costituito dall’investimento nel “corteggiamento”: numero di telefonate per ottenere un appuntamento; numero di aperitivi da offrire prima di poter finalmente strappare un invito a cena; costo del ristorante, e dell’eventuale mazzo di fiori; costo psicologico del mostrarsi carino e interessato a una relazione a lungo termine, e così via… I principi economici suggeriscono che gli intercorsi tra i ventenni americani siano regolati dalla dura legge della domanda e dell’offerta, dalla competizione tra i venditori (le venditrici in questo caso), e le variazioni sul prodotto. Così le ragazze americane, ci dicono i due autori, sono estremamente seccate dallo sbarcare nel loro campus di giovani promiscue, perché il fatto che ci siano prodotti “a basso costo” disponibili sulla piazza, abbassa ancora più il prezzo delle loro azioni. Insomma, se arriva una bella signorina disposta a una notte d’amore in cambio di un semplice caffè, o ancor peggio, di una buona conversazione di filosofia, sbanca il mercato di quelle altre che non si sarebbero azzardate a togliersi nemmeno un guanto senza tre o quattro inviti al bar, una cena nel ristorante chic della cittadina e un paio di scatole di cioccolatini.

Se il filo conduttore teorico del libro fa sorridere, l’indagine però è seria e informata, e ci fa scoprire che meno del 6% delle giovani americane di oggi non ha avuto rapporti sessuali prima di sposarsi, che più aumenta il livello di istruzione e di guadagno delle donne, meno sentono la pressione di un rapporto stabile e di un eventuale matrimonio.

Il libro alterna i risultati di inchieste a larga scala con la descrizione dettagliata di profili personali. Incontriamo così nel secondo capitolo Cami, vent’anni che proviene da una famiglia di cattolici devoti, ma che sul campus è diventata un po’ meno devota. Come il 27% delle americane della sua età non è in una relazione stabile. Ha deciso di rimanere comunque vergine a suo modo, confessando di «aver fatto tutto tranne la penetrazione e il sesso orale». In realtà una delle motivazioni di Cami per non avere una relazione stabile è proprio quella di cercare di rimanere vergine fino al matrimonio, come ha promesso alla sua mamma, perché sa bene che, una volta fidanzata, sarà difficile far tenere le mani a posto allo spasimante. Infatti, dati alla mano, se per le donne un’attesa di 4 mesi dal primo incontro alla prima copula sembra ragionevole, per i maschi, influenzati sembrerebbe dai video pornografici su Internet, il passatempo preferito tra un date e l’altro, tutto quel che va al di là di un’attesa di quattro minuti è tempo perso se si va in buca, o investimento costoso se si ottiene infine qualcosa.

A quando un libro che saprà parlare di sesso con un linguaggio umano, magari non trascurando quei dettagli, come l’amore, l’incontro, l’imprevisto e quel certo non so che nel suo sguardo quella sera per cui senza nessun calcolo lui fece le valigie e scappò di casa per sempre?

Saturno, Il Fatto Quotidiano, 11 marzo 2011

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