Non stanno meglio tanti lavoratori del settore privato che saranno obbligati a prendere un giorno di ferie. Molte aziende infatti chiuderanno anche il venerdì per scongiurare l’inevitabile calo di produttività dovuto alle numerose richieste di ponte. Nelle imprese private la festa sarà pagata decurtando il doppio pagamento della domenica dove è stato spostato per legge il festivo del 4 novembre. I dipendenti pubblici, ai quali è stato recentemente bloccato ogni aumento contrattuale fino al 2014, saranno forzati a consumare un giorno di permessi, visto che per loro la regola del festivo pagato non vale. Niente paga il 17 marzo, il 1 maggio (domenica), il 25 aprile (lunedì dell’Angelo) e in tutte le festività che qualche folletto impazzito sembra aver spostato nei festivi, da due anni a questa parte.
Per calcolare le varie differenze che la festa per i 150 anni di Unità d’Italia provocherà in tutto il mondo del lavoro servirebbe un’equazione degna di Einstein, lunga tutta una lavagna. Un calcolo da azzeccagarbugli che, nel caso di neoassunti, tempi determinati e lavoratori interinali, provocherà una sensibile perdita economica e di permessi. Anzi peggio, un obbligo: in molti saranno tenuti a usufruire di 7-8 ore di permesso durante quel giorno. Ore che molti lavoratori sfruttano quando ne han davvero bisogno: per visite mediche e necessità familiari, altro che per finte feste.
Ecco che fine ha fatto l’articolo della Costituzione che dice “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Più che in una nazione unita sembra essere tornati nel 1700. Qui il ducato dei co.co.pro., là la signoria dei lavoratori in nero, il Regno Pubblico e quello delle prestazioni occasionali, e poi ancora la Repubblica marinara privata, le Legazioni a progetto. Anzi, oggi è anche peggio perché non c’è nessun invasore da scacciare. L’odiato austriaco è tra noi: siede nei Cda di banche e fondazioni. È sugli scranni del Parlamento e consigli regionali. E ha interessi, idee e propositi opposti ai nostri.
Vignetta di Arnald – per ingrandire clicca qui