Si chiamerà, dunque, Qui Radio Londra la striscia televisiva di Giuliano Ferrara. Una truffa già nel nome: il significante di una emittente clandestina per la liberazione dal nazifascismo per il significato di una occupazione di servizio pubblico da parte di un agente di regime.

Dice Ferrara: “Se lavorassi per Berlusconi, il mio nome sarebbe nella lista dei bonifici del ragionier Spinelli”. Un altro imbroglio spudorato. Non solo Berlusconi e il berlusconiano direttore generale Rai gli garantiscono “15 mila euro a settimana. Contratto di due anni, opzione per il terzo”, che non sono bruscolini (specie per la “politica di tagli” in atto in viale Mazzini). Ma Ferrara e il suo Foglio sono già “nella lista” del ragionier Spinelli, guardacaso consigliere di amministrazione del giornale. E poi c’è il contributo statale per l’editoria (4 milioni l’anno, indebitamente acquisiti come inesistente movimento politico), i soldi della ex-signora Berlusconi e il finanziamento diretto attraverso le pesanti paginate pubblicitarie quotidiane del gruppo Berlusconi.

Si difende Ferrara: vado a cena col premier come Montanelli andava a pranzo con Spadolini. Ovviamente dove lui sarebbe Montanelli e Berlusconi addirittura Spadolini. E comunque un altro imbroglio: doveva rispondere non delle sue cene, delle sue frequentazioni e delle sue cortigianerie quotidiane, ma della sua attiva partecipazione alla cosiddetta (orwelliana) “struttura Delta”, con quegli altri giganti dell’indipendenza giornalistica che rispondono ai nomi di Alessandro Sallusti, Claudio Brachino e Alfonso Signorini.

Ma dove Ferrara raggiunge la vetta dell’impudenza è quando si confeziona su misura (lo ha ripetuto più volte) “l’apologo di Arbasino: promessa quando lavoravo a Raitre, solito stronzo quando andai sulle tv di Berlusconi, venerato come maestro a Otto e mezzo”. Non è noto chi lo consideri o possa considerarlo “venerato maestro” – al di fuori della cerchia dei berluscones, delle cricche affaristiche e del venerabile mondo del bunga bunga (tre segmenti dell’antropologia del potere italiano certamente illustrati dalla disponibilità di un uomo intelligente e colto come lui) – mentre Ferrara sa bene che c’è chi invece lo ha sempre considerato il “solito stronzo” prima ancora di Rai 3, sin dai tempi della sua appartenenza (“culturale”) alla cricca craxiana.

Ma veniamo alla sostanza del fenomeno: alla sua ri-discesa in campo in favore del satrapo, al grido: basta coi puritani! Un altro imbroglio: sa bene che in discussione non è il libertinismo e non sono nemmeno le perversioni del suo padrone, ma semplicemente specifici reati (concussione e prostituzione minorile), la ricattabilità di un capo di governo e lo sfregio degli elementi costitutivi fondamentali della dignità istituzionale.

Giuliano Ferrara sa (lo ha scritto) che “B. ha un fungo nella pancia che gli deriva dalla idolatria di se stesso. Ferrara lo sa benissimo, anche perché soffre e gode anch’egli di “idolatria di se stesso”. E’ convinto di essere il Migliore, come il Togliatti le cui ginocchia frequentava da bambino, come il “cuginetto” D’Alema, come il Bettino Craxi che lo adottò dopo la sua rottura col Pci facendone (con Alberto Ronchey e poi con l’altro “cuginetto” Paolo Mieli) un autorevole giornalista e (con Angelo Guglielmi e con l’allora direttore della Rai Due craxiana) un anchorman, infine come appunto Berlusconi, che lo fece ministro e gli regalò e gli finanzia un quotidiano.

Giuliano Ferrara sa che B. è sostanzialmente e strutturalmente un corruttore. Lo sa come lo sappiamo tutti, come lo sanno le ministre, le escort, i magnaccia, le Santanché, gli Schifani, i Frattini, i Fede, i Lelemora, i Masi, i Rossella, i Feltri, i Letta, i La Russa, i Gasparri, gli Scilipoti, ecc. ecc. ecc… Ferrara lo sa per averne anche goduto e sofferto. E sa anche che, come tutti i Grandi Corruttori, B. fa tutte le parti in commedia. Il liberale e il socialista, il nuovo della politica (contro i “professionisti”) e l’autorevole esperto (nei confronti dei giovani e inesperti nuovi leader internazionali), il sostenitore dei valori della famiglia e l’impenitente Sporcaccione, il meridionalista e il leghista, il “falco” e la “colomba”…

Allora, come fa Ferrara ad essere disponibile per tornare ciclicamente in auge – come succede in queste settimane – in veste di “primo consigliere del principe”? Come suggeritore e guida, prima della “svolta moderata” e ora della “strategia d’assalto”?

Ferrara è di un’altra razza, rispetto a tutti gli altri. Gli altri sono socialisti (Cicchitto, Sacconi…) o liberali di complemento a servizio effettivo permanente, “falchi” o “colombe” che interpretano stabilmente per B. una parte in commedia, quella e solo quella. Ferrara è invece attore fine e poliedrico, dai multiformi aspetti e dalle molteplici capacità. Del resto, se uno è il più bravo a macinare politica, che fa? Che sa fare? Che riesce a fare? Che viene chiamato a fare? Semplice, quello che non fanno gli altri: sparigliare. Quello che non ti aspetti, quello che consente di scapolare dal cul de sac. Così succede che, essendo B. nudo come non mai di fronte alle proprie responsabilità di corruttore, nudo e messo in un angolo, e quindi costretto a mettere da parte i morbidi modi lettiani per accompagnarsi all’aggressività santanchesca, peraltro con esiti disastrosi, ecco Ferrara tirar fuori l’asso dalla manica: la moderazione, il dialogo, la responsabilità istituzionale… Ma succede anche che, essendosi B. chiuso o fatto chiudere in un cul de sac, Ferrara interviene “convincendolo” a ritirare fuori il falco che è in lui (in B. e in Ferrara).

A parte ogni considerazione o ipotesi sul risultato di questa ennesima irruzione di Ferrara sulla scena politica politicante, a parte la netta sensazione che ogni tentativo di rianimare e riportare a nuova vita il cadavere del berlusconismo appare ormai fuori tempo massimo (come successe ai tempi di Tangentopoli, del craxismo morente e del “Parlamento degli indagati”), c’è da chiedersi: è Ferrara che usa o comunque si impone a B. o è B. che, quando gli serve, usa Ferrara? Insomma, B. decide in questi casi di mettersi nelle mani del “professionista” Ferrara, del Migliore o, più semplicemente, schiocca le dita e dice: “Vieni avanti, Giulianino”, con la stessa cinica noncuranza con la quale ieri schioccava le dita e diceva: “Vieni avanti, Danielina” e avantieri: “Vieni avanti, Gianni”, e con la quale si appresta domani a schioccare le dita e a dire: “Vieni avanti, Sandrino”, “Venite avanti, Emilio e Lele”?

C’è che B. gioca con la propria vita (oltre che con quella degli altri e del Paese): spera ancora una volta di sfangarla e contemporaneamente teme che questo possa essere effettivamente un “caso” speciale, un passaggio estremo della propria vicenda politica e umana, ma questo lo eccita ancora di più. Sa da tempo che per lui, in questo gioco, ogni mano è quella decisiva, è quella in cui ci si gioca tutto. E Ferrara invece gioca con la vita di B. In questo gioco, nel suo rapporto con il “fenomeno B.”, è inessenziale se questa sia una mano che segue e ne precede un’altra, o la mano decisiva. “Tutto il piatto”, per Ferrara, non è il regime berlusconiano. Lui ha altre risorse, altre vie d’uscita, ci sarà sempre posto per Ferrara nella continuità del “caso italiano”. Ferrara non si oppone a B.: dice di adorarlo e gli si offre con la propria scaltrezza sparigliante, sapendo che – passata la buriana (se passerà, questa volta) – B. prenderà di nuovo altre strade, userà di nuovo altri toni (rispetto a quelli suggeriti oggi da Ferrara), lasciandolo tornare di nuovo nella riserva e preferendo altri consiglieri, altri cortigiani, altre escort… Intanto, però, lui si diverte, esercita – o si illude di esercitare – persino una sua capacità di egemonia sulle azioni del principe e della sua multiforme e multicolorata corte, detta la linea, detta l’agenda politica…

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