Nell’ultimo anno e mezzo ho vissuto quella che penso, a oggi, possa essere vista come una “rivoluzione viola”. E’ stata in qualche modo, per me, la prosecuzione di un percorso che mi porta da 20 anni a manifestare con un unico comune denominatore e obiettivo: la difesa della democrazia e la fine dell’anomalia italiana. Per tante persone, questa “rivoluzione viola” ha significato qualcosa. E il bello è che per ognuno è stata qualcosa di diverso. E’ stato un risveglio, un nuovo modo di aggregazione, di farsi sentire, di comunicare, di manifestare, un insieme di sentimenti e di aspirazioni, dalla democrazia alle libertà individuali, al rispetto delle istituzioni e degli altri.
E mi tornano alla mente tutte le immagini di questi mesi. Dal NoBDay con le vie di Roma e piazza San Giovanni stracolma, fino all’ultimo presidio con non più di 40 persone a piazza Farnese, l’altro giorno. Un bel film, un flusso dinamico nel quale i colori e i suoni si confondono, come spesso accade nei ricordi. Portando alla luce solo le cose migliori e lasciando in un cantone quelle che fanno storcere il naso. Per ognuno che sia stato “vissuto” da questa rivoluzione viola, ci sono stati visi, incontri, nuove conoscenze. Molti si sono incontrati per la prima volta in questi mesi e dopo essersi annusati, studiati, magari mandati a quel paese con male parole, si sono ritrovati a lavorare fianco a fianco considerando prioritario, comunque, lo stesso comun denominatore e lo stesso famoso obiettivo.
Altri hanno preferito cambiare forme e modi di mobilitazione, o proprio percorso, magari dopo aver fatto un tratto di strada insieme. Del resto nessuno di noi è veltroniano e il buonismo non può essere la nostra cifra aggregante. Tutte le scelte sono da rispettare e ammirare, anche questo vuol dire essere “viola”, per come vivo io questa idea rivoluzionaria.
Poi c’è chi non ha mai smesso di tentare di aizzare gli uni contro gli altri, di parlare soprattutto dei problemi, di concentrarsi in maniera talmente pervicace sul loro lato distruttivo da lanciare anatemi infarciti di menzogne, di cose non vere reiterate all’infinito e diffuse in Rete, anche se prive di fondamento. Alcuni lo hanno fatto in buona fede, forse per non essere coinvolti in un eventuale fallimento. Altri invece continuano nella loro opera demolitoria, infischiandosene.
Su come la vedo io, voglio essere chiaro e lo farò citando alla lettera quanto scritto più di un anno fa: “Un’altra cosa è altrettanto chiara: non c’era e non ci sarà bisogno di capi carismatici, leader o burocrati, perché il Popolo Viola, o meglio “i Popoli Viola”, si autorganizzano e autorappresentano, senza intermediazioni di sorta. Secondo me funziona così: chi fa, rappresenta; chi propone, si prende la responsabilità di coordinare e trovare i collegamenti con altri; chi sa, si mette a disposizione, senza far pesare questa sua competenza come scorciatoia per la leadership; chi arriva prima, ha la pazienza di aspettare gli altri; chi dialoga, si spoglia dei pregiudizi e tenta di arrivare sempre alla sostanza dei discorsi”.
Io preferisco pensare che il Viola sia uno stato dell’anima che non ha necessità di iscrizioni e di esami di coscienza, fluido e dinamico. Uno stato che ognuno vive per come lo sente. Chiunque, con una sciarpa o un cappello viola che voglia inventarsi un gesto di resistenza al regime dilagante, avendo sottobraccio e ben in mente i dettami costituzionali, ha lo stesso diritto e la pari dignità di ribellarsi. E saranno sempre di più le cose che ci uniranno, a ben vedere, e saranno le connessioni intelligenti che porteranno avanti in maniera efficace una battaglia per la democrazia, contro l’anomalia che l’Italia ormai è diventata.