Nessuno osa dirlo nei palazzi colorati di verde, ma le prove di successione al grande capo sono già iniziate. Voci e sussurri, ma sempre attenti a non farsi sentire da Umberto Bossi, pena l’espulsione. Che i pretendenti si chiamino Roberto Maroni o Roberto Calderoli, Flavio Tosi o Luca Zaia, l’importante è che la voce non giunga all’orecchio del senatùr perché lui, come in una monarchia che si rispetti, il suo successore l’ha già scelto e si chiama Renzo Bossi, meglio conosciuto come trota.
La strada però non è del tutto scontata. Anche perché la Lega è frastagliata in decine di correnti come neppure la Democrazia Cristiana di fanfaniana memoria. C’è il cosiddetto cerchio magico, e sono quelli che stanno dalla parte di Bossi, sempre e comunque, pronti anche ad appoggiare il trota. E poi il gruppo di fedeli a Maroni, una corrente che ha la sua roccaforte in Lombardia, i tremontiani che fanno capo a Calderoli e, infine, i veneti, ormai tutti contro tutti. Il segretario Giampaolo Gobbo contro Flavio Tosi che, però è amico del governatore Luca Zaia, il vecio Giancarlo Gentilini, ex sindaco sceriffo, uno di quelli che viaggiano soli, ma si portano dietro un nutrito gruppo di persone, i piemontesi che fanno capo a Roberto Cota, sicuramente un emergente nel Carroccio. Un caos, insomma. A questi vanno aggiunti i molti che cercano un referente che abbia posizioni nette e radicali sugli immigrati e i secessionisti.
Possibile che il testimone tocchi al figlio di Umberto, allora? No, l’ipotesi è esclusa. Il senatùr punta decisamente a questo, ma non ci sono i presupposti. Un po’ perché il ragazzo ancora non è maturo per un incarico del genere: siede in consiglio regionale in Lombardia, ma è molto più affascinato dalle notti di quella che fu la Milano da bere che non dagli intrighi di partito. Per ora l’unica poisizione presa riguarda Bologna: è il trota che cerca di imporre un candidato leghista nell’intento di “padanizzare l’Emilia”, parole sue, ma per il resto appare disctaccato, e in queste ore sembra anche averla spuntata. Ma è l’unica battaglia intrapresa e vinta. Su un terreno facile, dove il Pdl è da mesi in cerca di un candidato credibile che in realtà non c’è ed è difficile che si materializzi.
Se Renzo è l’erede legittimo, di figliastri nella Lega Bossi ne ha più di uno. Marco Reguzzoni, capogruppo alla Camera è uno di questi. Il cerchio, ad alto livello, si completa con Rosy Mauro, la “terrona” di Barletta che ha sostenuto Bossi nei suoi incontri pubblici subito dopo la malattia, Federico Bricolo, capogruppo al Senato e che bossi vorrebbe subito come ministro delle politiche agricole al posto di Galan, in procinto di passare alla cultura, e Francesco Belsito, amico inseparabile del trota. Ma l’arma del senatùr, quella in grado di mettere tutti al tappeto, è il popolo, quello di Pontida, per intenderci. Quelli che lo seguirebbero ovunque. L’arma capace di mettere a tacere correnti e correntine.
Chi ha un seguito simile a quello del capo è Maroni. Ogni tanto Bossi ha dovuto richiamarlo all’ordine, un periodo, qualche anno fa, lo mise anche in una sorta di congelatore a meditare sugli errori commessi, ma Bobo è assolutamente il pretendente più accreditato. Gli manca l’ok del senatùr, altrimenti sarebbe già investito. Per adesso si accontenta di seguire e coltivare i suoi fedelissimi: l’europarlamentare Matteo Salvini, l’assessore alla Sicurezza in provincia di Milano, Stefano Bolognini, il presidente del Consiglio regionale lombardo Davide Boni, il capogruppo al Pirellone Stefano Galli, il segretario dei Giovani Padani Paolo Grimoldi e tutta un’altra serie di rampanti che siedono qua e là in consigli regionali e provinciali, sempre e comunque in quella Lombardia che ha come capitale Varese. Maroni, dalla sua, ha un rapporto più distaccato dalle posizioni del presidente del consiglio Berlusconi, e cerca sempre e comunque di glissare sull’argomento. Porta risultati: gli arresti – ammesso e non concesso che debbano essere riconducibili a lui – di pezzi grossi di camorra, ‘ndrangheta e mafia.
Non è da sottovalutare Calderoli, l’uomo più vicino al più leghista del Pdl: il potentissimo ministro dell’Economia Giulio Tremonti, candidato numero uno a un’altra successione, quella a Silvio Berlusconi. Se Tremonti fosse destinato a fare il premier, le quotazioni di Calderoli schizzerebbero in alto. D’altronde se Bossi è stato il padre della riforma federale (quella fatta e quella che forse verrà) l’autore materiale è stato Calderoli, guidato per mano dallo stesso Tremonti.
Ma la situazione descritta fin qui sarebbe anche normale. Il problema più grave si presenta quando ci si sposta nelle regioni, soprattutto in quel Veneto litigioso che è una roccaforte leghista. Fino a oggi la Lega è stata guidata da un fedele del senatùr, Gobbo, il segretario nazionale della Liga. Da 15 anni regna incontrastato ma oggi ha trovato sul suo cammino un tostissimo Tosi, il sindaco di Verona. Tosi vuole comandare il Carroccio veneto e le previsioni dicono che a consensi è vicinissimo a Gobbo. Tanto è che la la direzione federale del partito ha sospeso il congresso locale a Verona. E non è stato un bel segnale.